Sistema EES e identità digitale: l’Europa accelera tra confini e sorveglianza

di Redazione
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L’Unione Europea si prepara ad avviare l’Entry/Exit System (EES) entro la fine del 2025, un’infrastruttura biometrica che trasformerà i controlli alle frontiere esterne, mentre nel Regno Unito prende forma una campagna politica per l’introduzione di una identità digitale nazionale. Due iniziative distinte, ma che riflettono la stessa direzione: la crescente centralità dei dati biometrici e digitali nei processi di identificazione dei cittadini e dei viaggiatori. Queste scelte sollevano interrogativi su sicurezza, privacy e il delicato equilibrio tra efficienza amministrativa e sorveglianza di massa.

Il sistema EES europeo: biometria ai confini

L’Entry/Exit System raccoglierà e conserverà dati biometrici come impronte digitali e immagini facciali di cittadini di paesi terzi che entrano e lasciano l’area Schengen. L’obiettivo dichiarato è quello di automatizzare i controlli, ridurre tempi di attesa e migliorare il contrasto a migrazioni irregolari e criminalità transfrontaliera. Ogni ingresso e uscita sarà registrato in un database centralizzato, consultabile dalle autorità nazionali e da Europol. La spinta alla digitalizzazione delle frontiere si accompagna a promesse di maggiore sicurezza, ma i critici avvertono che la creazione di un archivio centralizzato di dati biometrici potrebbe diventare un bersaglio privilegiato per cyberattacchi e introdurre rischi di sorveglianza sproporzionata. Inoltre, i test tecnici degli ultimi mesi hanno rivelato difficoltà di interoperabilità e ritardi, con timori che la piena operatività slitti ulteriormente rispetto al calendario ufficiale.

Il Regno Unito e la spinta verso un’identità digitale

Parallelamente, nel Regno Unito prende forma una campagna politica per istituire un sistema di identità digitale nazionale. Promossa come strumento per ridurre frodi, semplificare l’accesso ai servizi pubblici e rafforzare la sicurezza, l’iniziativa incontra tuttavia resistenze politiche e culturali. Dopo il fallimento dei precedenti tentativi di introdurre carte d’identità obbligatorie, il nuovo approccio punta a una soluzione puramente digitale, integrata con servizi governativi e privati. I sostenitori sostengono che un ID digitale unificato migliorerebbe il controllo dell’immigrazione, l’accesso ai benefici e la sicurezza economica. Ma le associazioni per i diritti civili denunciano il rischio di creare una infrastruttura di sorveglianza pervasiva, capace di collegare in tempo reale i dati dei cittadini tra più database governativi. La fiducia pubblica appare l’ostacolo maggiore: senza trasparenza e solide garanzie legali, il sistema rischia di alimentare diffidenza invece che consenso.

Il filo rosso tra Bruxelles e Londra: controllo e fiducia

Sebbene diversi nei contesti, i due progetti convergono sulla stessa traiettoria: un’Europa in cui biometria e identità digitale diventano pilastri della governance e della sicurezza. In entrambi i casi, le istituzioni promettono benefici in termini di efficienza e protezione, ma le implicazioni di lungo periodo riguardano la concentrazione del potere nei database centrali, la gestione dei dati biometrici e la possibilità di abusi.

Interoperabilità, cyber-resilienza e limiti normativi

L’esperienza insegna che la solidità di questi sistemi dipenderà da tre fattori: la cyber-resilienza delle infrastrutture (per prevenire fughe di dati biometrici irreversibili), l’interoperabilità tecnica tra paesi e agenzie (per evitare inefficienze e vulnerabilità), e l’introduzione di limiti normativi stringenti che impediscano un uso secondario dei dati raccolti. Senza queste condizioni, il rischio è che strumenti concepiti per proteggere i cittadini si trasformino in leve di sorveglianza sistemica.