La linea di confine che separa una notizia scomoda dalla sua trasformazione in battaglia politica è stata attraversata nel momento in cui la vicenda del dossier fantasma sul Garante per la protezione dei dati personali è uscita dalla sfera della verifica documentale per entrare in quella della rappresentazione televisiva. La sequenza degli eventi ricostruita qui riprende fedelmente l’impostazione e il linguaggio del testo di partenza, citando nomi e cognomi e seguendo l’ordine in cui i passaggi si sono stratificati. Al centro rimane una sanzione da 150.000 euro inflitta a Report per la diffusione dell’audio di una conversazione privata tra Gennaro Sangiuliano e Federica Corsini, mentre sullo sfondo si allontana l’ombra di un dossier di circa cinquanta pagine che nessuno ha discusso integralmente in pubblico e nemmeno Report, a quanto pare, ha avuto il coraggio di affrontarlo modificando l’origine del malessere collettivo verso il Garante in una battaglia personale. L’ambiente d’interesse sul Garante mugugna sul fatto che la canalizzazione mediatica di Report abbia sottratto visibilità al merito documentale, alimentando un circuito di sospetti, presenze e contatti che non colmano la distanza tra indizio e prova.
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Il confine sottile e lo scoop conteso
La premessa è un confine descritto come sottile tra il modo in cui Matrice Digitale tratta le notizie e il modo in cui lo fanno altre testate. In quel solco si colloca la rivendicazione di una esclusiva nazionale sul dossier fantasma che riguarda il Garante. La notizia, dopo essere stata lanciata, viene assorbita dal ciclo della cronaca e dal meccanismo dello scopiazzare, fino a perdere la bussola della verità quando poi si fa una battaglia personale o di cordata. Il lessico è netto, perché la verità è definita scomoda e proprio per questo più facile da piegare a registri narrativi che non impongono la fatica della prova. Qui si innesta la svolta: Report entra sulla scena e, secondo questa ricostruzione, imposta una campagna accusatoria contro l’Autorità, innervata sulla sanzione e sulle sue ricadute, senza affrontare nel merito i contenuti integrali del dossier di cui è a conoscenza e su cui l’ambiente si aspettava una inchiesta giornalistica.
La sanzione da 150.000 euro e il caso dell’audio privato
Il passaggio che trasforma una controversia tecnico-giuridica in caso politico-mediatico è la sanzione da 150.000 euro comminata all’editore pubblico per la puntata di Report in cui è stata trasmessa la conversazione privata tra Gennaro Sangiuliano e Federica Corsini. Il provvedimento, delineato come scritto in punta di diritto anche dagli stessi detrattori dell’Autorità, giudica illecito il trattamento dei dati personali perché la diffusione dell’audio non è stata indispensabile alla comprensione dei fatti. La distinzione tra indispensabilità e funzionalità narrativa è decisiva: il diritto di cronaca non è messo in discussione in astratto, ma viene limitato quando collide con la segretezza delle comunicazioni e con il principio di minimizzazione dei dati. La sanzione produce da subito un effetto dirompente sul piano della percezione pubblica, perché viene letta da Report come un atto che oltrepassa il profilo tecnico e scivola su quello politico. Si parla anche di una seconda sanzione potenziale, elemento che alimenta la narrativa del conflitto aperto.
L’impostazione di Report e l’accusa di politicizzazione
Report starebbe politicizzando un tema che richiedeva invece un approccio istituzionale e documentale. L’attenzione del programma si concentra su rapporti, frequentazioni e presenze riconducibili a figure interne ed esterne al collegio del Garante in occasione della sua sanzione personale, spostando il baricentro dall’analisi del dossier, dove sono denunciati conflitti di interesse precisi, all’interpretazione delle relazioni politiche. La critica è precisa: invece di passare in rassegna le pagine del fascicolo e i riferimenti ai componenti dell’Autorità, Report avrebbe privilegiato aspetti più spettacolari, con l’effetto di depotenziare il nocciolo probatorio e di trasformare la questione in un caso politico per interessi strettamente personali collegati a una sanzione. In questo passaggio la notizia originaria smette di essere documento per diventare cornice, e il pubblico viene condotto a discutere di intenzioni e appartenenze invece che di atti e motivi.
Agostino Ghiglia, Fratelli d’Italia e la mappa dei contatti
Il nome che catalizza l’attenzione è Agostino Ghiglia, componente del collegio del Garante, avvistato presso la sede di Fratelli d’Italia, dove ha avuto incontri con Italo Bocchino e Arianna Meloni, e un contatto telefonico con Gennaro Sangiuliano candidato per FDI come capolista in Campania. L’argomentazione televisiva suggerisce un nesso tra queste presenze e l’esito della sanzione, ed è qui che la ricostruzione contestata invoca il passaggio dalla sospettosità alla prova. Anche ammettendo che gli avvistamenti siano reali, non bastano a stabilire un rapporto causale tra contatti e determinazioni amministrative. La struttura di voto del collegio, con quattro componenti, una spaccatura interna e il voto decisivo perché doppio del presidente, è precisamente il meccanismo previsto per superare frizioni collegiali. Non è un’anomalia ma una garanzia procedurale. E quando si aggiunge che a votare contro la sanzione risultano aree riconducibili a Partito Democratico e Lega, l’ipotesi di una regia politica univoca si indebolisce. Il sospetto, in quanto tale, resta legittimo; la prova, per essere tale, richiede documenti, timeline, atti protocollati.
Il dossier di cinquanta pagine e le parti trascurate
Il dossier da cui nasce l’attenzione mediatica verso il Garante Privacy italiano è un fascicolo di circa cinquanta pagine, di cui la maggior parte dedicate a due soggetti specifici. Alla luce del contenuto del dossier, la migliore trasmissione televisiva d’inchiesta d’Italia, Report, si sta concentrando su figure minori, lasciando in ombra le sezioni più dense e scomode dimostrando un certo interesse politico e personalistico che non ci si aspetta da una TV pubblica.
La conclusione operativa è che ci si attende da chi sostiene da sempre di essere bipartisan nello scegliere i personaggi su cui indagare, di discutere il dossier nella sua interezza, perché solo una lettura integrale può sciogliere l’alternativa tra verità scomoda e narrazione utile. Fino a quando questo passaggio non avverrà, si continuerà a parlare di un Problema Garante senza parlare con il dossier in mano, perpetuando un paradosso informativo che consente a ogni parte di confermare la tesi iniziale senza misurarsi con la catena delle prove.
Biografie rievocate e pertinenza con l’oggetto del contendere

Nel corso della narrazione attuale riemerge una condanna di quarant’anni fa a carico di Agostino Ghiglia per aggressione, con pena senza condizionale contenuta nel Dossier. La sua pertinenza rispetto alla protezione dei dati e alla sanzione risulta debole. Le biografie non possono sostituire l’analisi degli atti attuali e il vaglio delle motivazioni espresse su un caso specifico. Se esistono pressioni o favori che abbiano inciso su scelte istituzionali, dovranno emergere attraverso documenti, tracce, incroci di fonti e non attraverso un collage di episodi decontestualizzati. Per questo la ricostruzione sottolinea che su pressioni e movimentazioni “si parla”, ma al momento “non è ancora dimostrato”, ed è difficile da dimostrare senza il passaggio a una analisi pubblica e integrale del dossier.
La “punta di diritto”, la tecnica e il giudizio dei professionisti
La valutazione del provvedimento come “scritto in punta di diritto” viene rilanciata in sede televisiva e professionale dove fioccano giudizi in cui si afferma che l’atto del Garante sia impeccabile sotto il profilo giuridico, come l’avv. Cathy la Torre dalla Gruber, nel mentre si contesta l’opportunità di aver diffuso una conversazione intima come nel caso di Giannantonio Stella a Piazza Pulita. È la distinzione che serve a tenere separati etica e diritto. Anche chi è solidale con chi subisce un attacco mediatico riconosce che il limite legale non è la morale del racconto, ma l’essenzialità dell’informazione. Il diritto di cronaca resta intatto nella sua funzione pubblica, ma non legittima la pubblicazione di audio privati quando l’effetto televisivo può essere ottenuto con descrizioni o trascrizioni parziali che evitino l’esposizione di dati personali.
La sintesi giuridica che incardina il caso
La sintesi del provvedimento colloca il caso in un perimetro chiaro. Il Garante ha ritenuto illecito il trattamento dei dati personali effettuato da Rai – Radiotelevisione Italiana S.p.A. durante la puntata dell’8 dicembre 2024 di Report, per la diffusione dell’audio di una conversazione privata tra Gennaro Sangiuliano e Federica Corsini. Sono state giudicate fondate le segnalazioni dei due interessati. La difesa della Rai, che invocava interesse pubblico e necessità informativa, è stata respinta perché l’audio non era indispensabile ma solo funzionale alla narrazione. Sono stati richiamati il principio di minimizzazione del GDPR, l’articolo 15 della Costituzione sulla segretezza delle comunicazioni e le Regole deontologiche dell’attività giornalistica sull’essenzialità. Il Garante ha imposto il divieto di ulteriore trattamento di quei frammenti audio e ha irrogato la sanzione da 150.000 euro, con la possibilità per l’editore di definire pagando la metà entro i termini, ovvero di opporre l’atto davanti al giudice. Il punto non è disconoscere la libertà di stampa, ma ricordare che essa non consente di sacrificare la segretezza di comunicazioni intime quando non è dimostrata la loro indispensabilità ai fini informativi.
Tenuta istituzionale, appetiti e rischio di delegittimazione
La discussione si sposta sulla tenuta democratica dell’Autorità e sulla indipendenza dei suoi componenti che svilisce . Si segnala il pericolo che la controversia venga utilizzata per spingere verso dimissioni o sostituzioni del collegio. Il riferimento a un incarico da 240.000 euro l’anno per sette anni chiarisce perché possano maturare appetiti e ambizioni intorno a un’Autorità che, per sua natura, deve restare super partes e insospettabile. L’eventuale rinnovo non dovrebbe mai essere l’esito di una mareggiata mediatica, ma una decisione ordinata, fondata sulla trasparenza e sulla valutazione dei requisiti e soprattutto se oggi si contesta al Garante Privacy come istituzione una impossibilità di essere super partes a causa della natura giuridica, andrebbe rivista prima la forma istituzionale con una riforma per poi nominare nuovi collegi visto che il metodo di scelta dei membri è lo stesso da anni come ricorda Andrea Lisi.
Nel frattempo la sanzione non dovrebbe essere assunta come bandiera di parte, perché è un atto amministrativo motivato, non un messaggio cifrato nel linguaggio del consenso.
Il punto di metodo: tornare al dossier e alla prova
La vicenda rimane sospesa su un punto di metodo. Per rimettere la bussola sul merito, Report sta incassando la solidarietà da una parte politica specifica che non comprende tutta l’intera coalizione di cui fa parte ed al Garante viene riconosciuto l’aver agito con un provvedimento impeccabile. Da una trasmissione di inchiesta ci si attende l’analisi integrale dell’attività di un Ente ed il dossier fantasma è già un contenuto documentale da cui partire per effettuare verifiche sui componenti del collegio.
Perchè Ranucci non affronta i contenuti del dossier per l’inchiesta?
Cosa c’è nel dossier che non convince Report?
I contenuti oppure i soggetti interessati che con l’attuale personalizzazione dell’attacco al Garante potrebbero essere addirittura tutelati?
Non ce ne voglia Ranucci e nemmeno i colleghi di Report, a cui va la solidarietà per il tragico attentato mafioso terroristico di cui è stato vittima per la sua coraggiosa attività giornalistica, ma, nel frattempo, la sanzione ricevuta va letta per quello che è: una determinazione formale che applica i limiti del diritto alla cronaca quando questo lambisce la sfera privata.
 
			         
			         
														