Dal dossier “dall’aldilà” all’inchiesta di Report: le contraddizioni del Garante Privacy sono notizia

di Livio Varriale
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La storia comincia davvero a giugno, quando – insieme ad altre redazioni – arriva quel documento anonimo firmato “Stefano Rodotà (dall’Aldilà). Un titolo volutamente provocatorio, che giocava con il nome del giurista che ha segnato la storia della protezione dei dati in Italia e che conteneva però una cosa molto concreta: un atto d’accusa contro l’attuale Garante per la Protezione dei Dati Personali, contro le sue relazioni accademiche, contro le sue frequentazioni professionali e contro il modo in cui il collegio avrebbe inciso sul mercato delle consulenze legali e dei servizi di privacy. Era un dossier fantasma, perché non aveva paternità ufficiale, ma era anche un dossier che non nasceva dal nulla: dentro c’erano date, nomi, legami universitari, perfino riferimenti a rapporti con studi esclusi da alcuni giri “caldi”. Matrice Digitale decide di farci tre puntate sapendo già che quella notizia non sarebbe stata trattata dai giornali nazionali. Non perché non fosse interessante, ma perché il Garante è un’autorità indipendente, con dentro perfino una piccola componente di polizia giudiziaria, e perché toccarlo significa spesso trovarsi addosso diffide, lettere degli studi legali coinvolti che già erano sul piede di guerra e facevano intendere che si sarebbero mossi tramite terzi e l’accusa di “delegittimare un’istituzione”. E infatti, mentre i quotidiani tacevano, la testata ha deciso comunque di raccontare l’esistenza del dossier, senza chiamare in causa i soggetti citati: chi voleva, sapeva dove cercare ed il documento era già finito nelle mani dei soggetti interessati. Da non trascurare, poi, che i media hanno goduto per anni del pay-or-consent inserito, guarda caso, da Meta sul mercato e su cui il Garante a fatto spallucce nell’attesa della sanzione del Garante Europeo, falsificando il mercato di chi rispettava il GDPR e di chi invece andava in deroga. Poi succede una cosa tipica del nostro sistema mediatico: a ottobre il dossier era quasi dimenticato, ma la materia era lì che aspettava una redazione con spalle legali larghe come anticipato in estate da Matrice Digitale e con copertura economica. Cioè la Rai. E più precisamente Report.

Perché solo Report poteva farla esplodere?

Quando l’oggetto dell’inchiesta è un’autorità trasversale – nominata da Parlamento, con membri espressione di maggioranza e opposizione, legata a mondi universitari e a studi professionali – l’unica che può permettersi di portare tutto in tv è una trasmissione di servizio pubblico che ha già dimostrato di reggere gli urti. Report era già in una fase delicata, con la redazione “ferita” da accuse di conflitto d’interesse e con una parte della politica che avrebbe volentieri ridimensionato il programma tanto da farlo migrare su La7. Ma è proprio lì che arriva la sanzione da 150.000 euro del Garante per l’audio di Gennaro Sangiuliano e di sua moglie. Quell’audio – lo abbiamo sostenuto fin dall’inizio – è stato una forzatura giornalistica. La nostra critica sull’evento non ha messo in discussione il diritto di cronaca, bensì ha criticato la scelta editoriale di far ascoltare una conversazione intima quando si poteva raccontare il fatto ed esibirla come prova in fase processuale qualora fosse sopravvenuta una necessità. Il Garante ha applicato la linea dura, la Rai è stata colpita e il collegio si è mostrato diviso.

A quel punto la domanda è diventata inevitabile: “ma se dentro al Garante c’è spaccatura, non è che il dossier di giugno, disponibile sul sito dell’avv. Stefano Aliprandi, aveva visto giusto?”.

Le soffiate interne e gli studi legali scontenti

Da lì in poi cambia tutto il quadro. Salta fuori che all’interno dell’Autorità non filava tutto liscio da tempo. Funzionari che hanno stipendi ampiamente sopra la media nazionale – e che avrebbero potuto tacere – iniziano a passare conversazioni e materiali strategici proprio a Report. A quelle soffiate si aggiungono segnalazioni provenienti da studi legali esclusi da alcuni incarichi e che ritenevano di aver perso lavoro ed opportunità perché erano stati favoriti competitor più vicini a membri del collegio. In altre parole: il dossier anonimo ha trovato un’eco dentro l’Autorità e fuori tra i professionisti che ruotano attorno al mondo privacy.

È in questo contesto che “scoppia la bomba”: non più e non solo la sanzione sulla telefonata, ma il racconto dei conflitti d’interesse che vanno dalla baronia salernitana (il mondo accademico che ha formato e promosso una parte dell’élite della privacy) fino all’avvocatura legata a Fisciano, quella dove ha studiato e insegnato anche Pasquale Stanzione, presidente del Garante, lo stesso il cui voto vale doppio e che ha reso effettiva la sanzione a Report. E qui torna in scena anche Gennaro Sangiuliano, perché – secondo questa ricostruzione – per difendersi si sarebbe rivolto a uno studio che ha legami accademici con Stanzione. Nulla di illegale, ma per una trasmissione d’inchiesta è materiale perfetto: ministro, Garante, mondo universitario, studio legale, voto decisivo. Tutto nello stesso perimetro.

Il ruolo dei comunicatori del garante e la contraerea social

Mentre Report prepara la puntata, dal lato dell’Autorità parte la comunicazione difensiva: vengono pubblicati post e interventi per dire che sì, ci sono stati casi di astensione, che i conflitti sono stati gestiti e che la sanzione alla Rai non è politica ma di diritto. In questa fase viene tirato dentro anche Guido Scorza – avvocato e figura conosciuta nel mondo tech – che prende posizione pubblica, racconta la versione del Garante e raccoglie consensi tra follower e contatti. Ma succede anche un’altra cosa: una fascia di professionisti silenziosa non si riconosce in quella linea, non prende per oro colato la difesa dell’Autorità e non apprezza che si “screditi” il lavoro di Report prima ancora che vada in onda ed è proprio la mossa di anticipare il contenuto di Ranucci e company, non solo è stato schiacciato dalle notizie pubblicate da Il Fatto Quotidiano prima della puntata, ma, successivamente alla messa in onda, sono emersi pareri indignati sulle notizie emerse e quello che sembrava essere l’invidioso di turno, al pari dei “pazzi” agli angoli della strada messaggeri dell’arrivo degli alieni o della fine del mondo, alla fine ci aveva visto lungo e bene.

Noi, però, vi avevamo avvisato sul paradosso che proprio su Feroni e su Ghiglia nel dossier c’era pochissimo; le parti più corpose riguardavano altri nodi, altri legami, altre convenienze. Ma la narrazione pubblica è finita su chi era più legabile alla politica, perché la politica è quella che fa audience ed è stato un bene che Ranucci abbia chiarito il perché ed abbia annunciato che l’aspetto giornalistico rilevante, quello del segui i soldi, sarebbe stato affrontato.

La parte “misera” delle spese e quella vera del mercato

A un certo punto la vicenda si è riempita di spese rimborsate al limite dell’accattonaggio morale: la vicepresidente che si fa rimborsare il parrucchiere, carne acquistata in macelleria e rimborsata, voli in business class e lamentele su eventuali viaggi in economy (200-250 mila euro l’anno). Tutte cose brutte da vedere in un’autorità che deve essere irreprensibile, ma che non sono il vero male del Garante. Quello che pesa davvero è “tutto il resto”: come gira la macchina, quali studi hanno preso lavoro e quali no, quali consulenti sono stati invitati ai convegni e quali no, quali posizioni sui social venivano avallate e quali no. Perché è lì che si incide sui diritti, sulle professioni e sui mercati. Ed è vero anche che la natura dell’Istituzione la mette nella condizione di creare equivoci di natura politica e di pertinenza al lobbismo dei soggetti che più dovrebbero essere attenzionati come afferma il prof Lisi.

E infatti, quando a giugno si era detto ai giornalisti di non pubblicare il dossier perché erano pronte lettere di diffida dallo studio legale vicino all’Autorità, nessuno lo ha pubblicato. L’unica a pubblicarne parti è stata Matrice Digitale. E guarda caso, prima dell’uscita delle due puntate di Report, i profili Meta della redazione – circa 90.000 follower – sono saltati unitamente al canale YouTube nato in concomitanza con quello del “consulente” della strategia di Guido Scorza, specializzato proprio sull’IT come Matrice Digitale, nonché, come riportato da Report, socio del penalista di Meta in Italia.

La linea morbida con Meta e Google

Dentro questa storia c’è anche il tema dei rapporti del Garante con le piattaforme. È stato severo con gli smart glasses (40 milioni di sanzione), ma non in fondo ed oggi si discute se vi siano i presupposti per un danno erariale. ma è passato in silenzio il fatto che il data leak di Facebook fosse stato il più grande regalo mai fatto al crimine informatico e che la soluzione fosse stata una “collaborazione”. Allo stesso modo si è vista una certa vicinanza a Google da parte di Scorza: non un cane da presa, bensì un collante istituzionale anche su materie come la scuola e con i servizi educativi digitali cresciuti notevolmente negli ultimi anni. Nulla di illecito in sé, ma quando un’Autorità che deve vigilare sembra troppo dentro il sistema che dovrebbe controllare, il dubbio è inevitabile e l’opportunità morale, prim’ancora che etica, è facilmente attaccabile.

La parte che resta sul fondo: la censura algoritmica

Alla fine, mentre il Garante incrocia la Rai, mentre la politica chiede la testa di Ghiglia e mentre Report fa il 10% di share, resta sullo sfondo il problema vero: la libertà di informazione in Italia è ormai filtrata dagli algoritmi delle multinazionali, spesso in collaborazione implicita con le Autorità di Governo che hanno il potere di resettare una sanzione da 40 milioni a 0 oppure di patrocinare eventi con finalità lobbistiche su privacy e minori. Se un contenuto è scomodo, non va. Se un profilo è fastidioso, salta. Se una testata piccola pubblica un dossier che riguarda un’autorità indipendente, spariscono 90.000 follower preventivamente alla trasmissione che ha dato voce ad un dossier scomodo guarda caso proprio per le piattaforme, Google e Meta, implicate nell’inchiesta sul componente Guido Scorza.

Questa è la chiusura più amara della storia: i pochi barlumi di giornalismo che partono dal basso vengono penalizzati da regole pensate per “proteggere” lo spazio informativo, ma che di fatto proteggono lo spazio dei grandi. La sanzione a Report è passata. I profili di Matrice Digitale no.