Garante Privacy, vortice politico. Meloni scarica su Pd, M5S e Scorza imbarazza più di Ghiglia

di Redazione
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La crisi che coinvolge il Garante per la protezione dei dati personali non è più soltanto l’effetto delle inchieste di Report, ma uno scontro politico a tutto campo. Governo e opposizioni si accusano reciprocamente della paternità delle nomine, mentre l’Autorità tenta di difendersi con documenti tecnici e bilanci pubblicati online. Nel mezzo, il nome più scomodo è quello di Guido Scorza, componente indicato in quota M5s, che ha ammesso di aver pensato alle dimissioni ma ha deciso di restare, alimentando polemiche e sospetti in un clima già esasperato.

La mossa di Meloni: “quel Garante l’avete fatto voi”

La premier Giorgia Meloni ha scelto la via dell’attacco per ribaltare le accuse. Di fronte alle opposizioni che parlano di “permeabilità politica” e di “contiguità con FdI” dopo gli incontri di Agostino Ghiglia con Arianna Meloni e con esponenti di Meta, Meloni ha ricordato che l’attuale collegio è stato composto durante il governo giallo-rosso, con quote spartite tra Pd e M5s e la presidenza in quota Pd. Per la premier è dunque “ridicolo” parlare di pressioni del centrodestra. Ha aggiunto che il Garante è nominato dal Parlamento, non dal governo, e che Palazzo Chigi non ha il potere di scioglierlo. Tuttavia, ha aperto alla possibilità di riformare la legge sulle quote per evitare future accuse di spartizione politica. La strategia è chiara: spostare la responsabilità sugli avversari e difendere l’immagine dell’esecutivo come spettatore estraneo alla crisi.

Schlein e M5S: “collegio permeabile, va azzerato”

Le opposizioni, unite, non ci stanno. Elly Schlein parla di un’Autorità “opaca”, segnata da numerosi conflitti di interesse e da una “forte permeabilità politica che ne compromette la terzietà”. Per la segretaria del Pd non è più sufficiente chiedere la testa di Ghiglia: servono le dimissioni dell’intero collegio come gesto per ristabilire fiducia e trasparenza. Collega la richiesta alle rivelazioni di Report, che “documentano fatti inoppugnabili”, e sottolinea che un’istituzione di garanzia non può permettersi di telefonare alle redazioni per fermare la messa in onda di un programma Rai. Il Movimento 5 Stelle adotta un linguaggio ancora più duro: definisce il Garante “un covo di favoritismi e conflitti di interesse” con spese folli e legami imbarazzanti. Gli esponenti pentastellati ricordano i contatti tra Ghiglia e via della Scrofa come prova di una contiguità politica che impone un azzeramento immediato e la creazione di una nuova Autorità indipendente.

Il Garante si difende con i documenti: “nessun danno erariale, i 400mila non esistono”

Di fronte alla tempesta mediatica, il Garante per la privacy ha scelto la via dei numeri. Ha pubblicato due note ufficiali per smentire le ricostruzioni di Report. Nel comunicato sugli smart glasses, l’Autorità spiega che la presunta anomalia contabile è “destituita di ogni fondamento”. Il collegio, infatti, ha semplicemente deciso di non seguire la proposta sanzionatoria degli uffici, come previsto per legge. Una differenza “fisiologica”, precisa il testo, che non configura alcun danno erariale. Il Garante conclude auspicando che la trasmissione Rai corregga l’errore, riservandosi “ogni opportuna valutazione” nelle sedi competenti. Nella nota sui bilanci viene poi smentita la cifra dei 400.000 euro di spese di rappresentanza: secondo l’Autorità si tratta di un aggregato contabile comprendente viaggi, convegni, trasferte e attività di comunicazione, non di pranzi o ricevimenti. I dati ufficiali mostrano valori minimi: 0 euro nel 2024, 6.417 nel 2023 e 1.409 nel 2022. Le spese per gli organi istituzionali, relative a indennità e rimborsi, si attestano invece su circa 200.000 euro l’anno, come previsto dalla legge. Il Garante chiarisce inoltre che i 10.000 euro di acqua riguardano la fornitura di boccioni per tutto il personale, e che i 5.900 euro di astucci portacellulari derivano da una permuta con l’Arma dei Carabinieri per l’uso gratuito di un’aula concorsuale. Infine, precisa che il cosiddetto “tesoretto” da 95 milioni di euro è depositato in Tesoreria unica ed è vincolato alle spese di organico e infrastruttura: presentarlo come fondo privato è “propagandistico”.

Il caso Guido Scorza e la crisi d’immagine

Nonostante le smentite ufficiali, la questione non si riduce ai numeri ma alla credibilità pubblica. Guido Scorza, membro del collegio indicato in area M5s, ha dichiarato di aver valutato le dimissioni dopo la puntata di Report, ma di voler completare il mandato per non “infierire sull’istituzione”. Ha chiarito i rapporti con la moglie, dipendente del suo ex studio (“non è socia, non tratta privacy”) e ribadito di non aver ricevuto pressioni politiche. Ha anche ricordato di aver votato contro la sanzione a Report.

La scelta di restare, tuttavia, è apparsa fuori tempo. In un contesto dominato da accuse e sospetti, ogni gesto viene letto come difesa di posizione. Così, mentre l’Autorità tenta di ricostruire la fiducia pubblica, la permanenza di Guido Scorza viene percepita come un simbolo di resistenza corporativa, e il caso si trasforma in un problema d’immagine non solo per lui ed il Garante, ma anche per lo studio legale da lui fondato che vanta un primato in Italia conquistato sul campo.

Ghiglia non molla: “sono indipendente”

Il componente Agostino Ghiglia, in quota Fratelli d’Italia, respinge ogni accusa di interferenza e dichiara di non aver mai ricevuto né esercitato pressioni politiche. Rivendica la diffida a Report come misura di tutela dei dati personali e considera strumentale la narrazione che alterna “indipendenza” e “telecomando politico” secondo la convenienza. Tuttavia, la sequenza televisiva di incontro, diffida e sanzione resta un boomerang mediatico che rafforza la tesi dell’Autorità permeabile alla politica, ma il caso è minore rispetto ai conflitti di interessi tra Garante, Big Tech e imprese emersi dalla puntata.

Ranucci rilancia: “decisioni a sensibilità politica”

Il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci, sostiene che il Garante abbia agito “seguendo una sensibilità politica”. Cita la telefonata con cui sarebbe stato chiesto di rinviare la puntata sugli smart glasses e la multa a Meta mai concretizzata come prova di un funzionamento opaco. Ricorda inoltre che nel collegio siedono membri indicati anche da Lega e FdI, sottolineando che un organismo di garanzia non può interferire nella programmazione del servizio pubblico. Per Ranucci, solo un gesto di responsabilità collettiva può restituire fiducia nell’istituzione.

AVS e il richiamo a Rodotà

Peppe De Cristofaro, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra, invoca un ritorno allo spirito di Stefano Rodotà, padre fondatore dell’Autorità. Se un organo nato per tutelare i diritti viene percepito come soggetto politico, sostiene, ha smarrito la propria missione. Chiede quindi dimissioni immediate e una nuova legge che riduca l’influenza dei partiti, restituendo al Garante la sua funzione originaria di indipendenza e terzietà.

Un problema di fiducia più che di conti

Alla fine, la crisi del Garante è più reputazionale che contabile. Il governo scarica le colpe sulle vecchie maggioranze, le opposizioni chiedono un reset totale, il collegio difende numeri e procedure. Ma l’immagine pubblica dell’istituzione si è incrinata. Oggi il Garante, nato per vigilare sulla privacy dei cittadini, si trova al centro di una vicenda che mette in discussione la fiducia pubblica. E quella, a differenza dei bilanci, non si ripara con un pdf.