Cina accelera su chip AI contro restrizioni USA, SoftBank vende Nvidia e JP Morgan vede bolla AI

di Redazione
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La competizione tecnologica tra Cina e Stati Uniti entra in una nuova fase, segnata da una corsa all’autonomia nell’intelligenza artificiale, dalla guerra dei semiconduttori e da tensioni finanziarie globali. Pechino accelera lo sviluppo dei chip AI domestici mentre Washington rafforza le restrizioni all’export, bloccando la fornitura di acceleratori Nvidia e limitando la collaborazione con i data center cinesi. Parallelamente, emergono nuovi fronti: una mega truffa informatica da oltre 917 milioni di euro attribuita a hacker cinesi, un accordo Google–TotalEnergies per energia solare da 1,5 terawatt-ora, le accuse cinesi agli USA per un presunto furto di Bitcoin da 11,92 miliardi di euro, e la fuoriuscita di Yann LeCun da Meta, che apre un fronte critico sull’evoluzione dei modelli di intelligenza artificiale. Intanto, SoftBank e JP Morgan tracciano scenari divergenti tra iper-investimenti e rischio di sovracapacità nel settore AI.

Pivot cinese sui chip AI domestici

La Cina risponde all’embargo statunitense sui semiconduttori con una strategia di sostituzione nazionale accelerata. Funzionari governativi supervisionano la distribuzione dei chip high-end residui, destinandoli prioritariamente a infrastrutture pubbliche e data center strategici. Il governo di Pechino spinge produttori locali come Huawei, che con la serie Ascend 910C guida la nuova generazione di acceleratori per AI training. Il chip combina due die Ascend 910B in un singolo package, offrendo prestazioni competitive a fronte di restrizioni sulle GPU Nvidia. Huawei ha iniziato la produzione di massa in primavera, consegnando i primi lotti a provider cloud nazionali. Il modello Ascend 910C diventa così il primo chip interamente domestico deployato su larga scala per applicazioni di intelligenza artificiale. Gli sviluppatori riscrivono framework software e ottimizzano i workload per adattarsi all’hardware locale, riducendo la dipendenza da architetture CUDA e Tensor. Il governo incentiva la transizione con sussidi e preferenze di procurement, obbligando le istituzioni statali a utilizzare hardware certificato cinese.

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Nonostante le prestazioni inferiori rispetto alle GPU americane, l’ecosistema AI cinese si evolve rapidamente: i principali provider cloud stanno integrando Ascend nei propri servizi, mentre il governo valuta politiche di aggiornamento per rafforzare la competitività tecnologica interna. La Cina, spinta dal nazionalismo industriale e dalla necessità strategica, si posiziona come leader nella sovranità tecnologica e nella sicurezza digitale, riducendo le vulnerabilità legate alla supply chain occidentale.

Google denuncia hacker cinesi per 917 milioni di euro

In parallelo alla guerra dei chip, Google intensifica la propria azione contro le minacce cibernetiche provenienti dalla Cina. L’azienda ha intentato una causa contro il gruppo hacker Lighthouse Enterprise, accusato di aver rubato 917,4 milioni di euro da un milione di vittime distribuite in 121 Paesi. Lighthouse gestisce una piattaforma di phishing-as-a-service, che fornisce a pagamento pacchetti per impersonare servizi come Gmail, YouTube, enti governativi e società logistiche. Il gruppo promuove i propri servizi attraverso forum, Telegram e YouTube, reclutando utenti e sviluppatori con corsi di formazione. Le vittime subiscono furti di credenziali e dati sensibili tramite campagne ingegnerizzate. Google si appella alle leggi statunitensi su racket e frode informatica per ottenere la chiusura dei domini e la confisca dei server utilizzati da Lighthouse. Secondo Halimah DeLaine Prado, general counsel di Google, la causa mira a creare un deterrente legale per contrastare il mercato del phishing organizzato. Lighthouse, basata in Cina, opera come network criminale strutturato, offrendo servizi con abbonamenti mensili e supporto tecnico costante. L’azione di Google, che documenta i danni economici e reputazionali subiti, rappresenta una delle prime risposte corporate su scala globale contro il cybercrime transnazionale legato a Pechino.

Accordo solare tra Google e TotalEnergies

Sul fronte energetico, Google sigla un accordo ventennale con TotalEnergies per la fornitura di 1,5 terawatt-ora di energia solare dalla fattoria Montpelier in Ohio, una struttura da 50 megawatt connessa alla rete PJM. La maggior parte dell’energia alimenterà i data center Google, parte di un piano di decarbonizzazione che punta al net zero entro il 2030. L’intesa consente a TotalEnergies di ampliare il proprio portfolio solare negli Stati Uniti e di testare tecnologie di storage avanzato. Google, da parte sua, riduce l’impronta di carbonio delle sue infrastrutture, integrando il nuovo impianto nella propria rete di data center. Montpelier diventa un esempio di sinergia tra transizione energetica e sostenibilità digitale, con energia stabile e tracciabile destinata a supportare la crescente domanda di calcolo AI. La collaborazione dimostra come la competizione geopolitica sull’energia si intersechi con la gestione dei data center globali: mentre la Cina investe in nucleare modulare e carbone pulito per sostenere i propri cluster AI, Google sceglie il fotovoltaico come pilastro di un’infrastruttura ecologica di lungo termine.

Accuse cinesi agli Stati Uniti per furto di Bitcoin

Pechino rilancia lo scontro con Washington anche sul fronte finanziario. Le autorità cinesi accusano gli Stati Uniti di aver sottratto 127.272 Bitcoin — equivalenti a 11,92 miliardi di euro — in un’operazione del dicembre 2020 collegata al mining pool LuBian, scomparso nel 2021 dopo aver controllato il 6% dell’hashrate globale. Il denaro sarebbe rimasto dormiente per quattro anni prima di essere spostato nel 2024, dopo l’incriminazione di Chen Zhi, magnate del Prince Group di Phnom Penh, accusato di frode e riciclaggio internazionale. Il Dipartimento di Giustizia USA ha sequestrato i token da wallet legati a Chen, in quella che viene definita la più grande confisca di criptovaluta della storia. La Cina considera l’operazione un “atto statale di hacking economico” e la inserisce nel contesto del deterioramento delle relazioni bilaterali. La vicenda amplifica le accuse reciproche di cyber-frodi e manipolazione dei mercati digitali, segnando un nuovo capitolo della diplomazia tecnologica tra le due potenze.

Yann LeCun lascia Meta e punta su modelli mondo

Il pioniere dell’intelligenza artificiale Yann LeCun lascia Meta dopo dodici anni e annuncia la fondazione di una startup dedicata ai modelli mondo, sistemi basati su dati reali e comprensione fisica dell’ambiente. LeCun, vincitore del Turing Award 2018, è stato uno dei “tre padri del deep learning” insieme a Geoffrey Hinton e Yoshua Bengio. La sua uscita arriva nel momento in cui Meta investe oltre 91,7 miliardi di euro nell’AI, assumendo il CEO di ScaleAI, Alexandr Wang, e spostando il focus su modelli di superintelligenza. Tuttavia, il progetto Llama mostra risultati inferiori rispetto a rivali come DeepSeek, Google Gemini e xAI di Elon Musk. LeCun critica apertamente gli LLM, definendoli “obsoleti” in un’intervista a Newsweek, e invita i ricercatori a puntare su sistemi che apprendono dal mondo reale anziché dai testi. La sua nuova impresa esplorerà AI integrata in dispositivi fisici, con un approccio ispirato alla cognizione biologica.

Vendita SoftBank di azioni Nvidia per 5,35 miliardi di euro

Nel frattempo, SoftBank liquida il proprio intero pacchetto di azioni Nvidia, incassando 5,35 miliardi di euro, e cede partecipazioni in T-Mobile US per altri 8,41 miliardi. I proventi finanziano investimenti diretti in OpenAI e nel progetto Stargate, un’infrastruttura di data center AI di nuova generazione sviluppata con Oracle e OpenAI. Il CFO Yoshimitsu Goto conferma che l’operazione mira a ridurre l’esposizione verso i produttori di componenti per concentrarsi su compute consumer e infrastrutture AI. Stargate, che coinvolge Samsung e SK Hynix per la produzione di 900.000 wafer DRAM mensili, rappresenta un investimento industriale da decine di miliardi. La scelta segna una transizione strategica: SoftBank abbandona la posizione di investitore passivo nel settore semiconduttori per diventare attore diretto nello sviluppo dell’ecosistema AI globale.

JP Morgan avverte sul rischio di bolla AI

Una nota di JP Morgan introduce un elemento di cautela. La banca stima che l’intelligenza artificiale richiederà 595,8 miliardi di euro annui entro il 2030 per garantire un ROI del 10%, equivalenti a 31,83 euro mensili per ciascuno dei 1,5 miliardi di utenti iPhone o 165,05 euro per i 300 milioni di abbonati Netflix. Il report avverte che i ricavi generati non sono ancora in grado di sostenere un tale livello di investimento, paragonando la situazione alla bolla delle telecomunicazioni dell’era fibra. I data center AI rischiano di restare inutilizzati a fronte di una domanda reale inferiore alle aspettative, generando overcapacity e costi improduttivi.

Secondo l’analista Max Weinbach, l’attuale euforia finanziaria ricorda quella delle dot-com: l’AI è un settore “winner-takes-all”, dove pochi colossi catturano i profitti, lasciando perdite diffuse tra investitori e governi. Anche Sam Altman (OpenAI) e Pat Gelsinger (Intel) riconoscono che l’hype supera i risultati tangibili, evidenziando una asimmetria tra valore promesso e valore reale.

Una competizione totale tra tecnologia, energia e capitale

Il quadro del 2025 mostra una convergenza tra potenza industriale, energia sostenibile e sovranità tecnologica. La Cina punta all’autosufficienza nei chip AI, Google bilancia cybersicurezza e transizione verde, SoftBank e JP Morgan ridisegnano le regole della finanza dell’innovazione. Nel mezzo, la rivalità sino-americana plasma il futuro dell’intelligenza artificiale, con il rischio che la corsa al dominio digitale generi nuove bolle speculative e instabilità geopolitica.