Categorie
Editoriali

Perchè il Wall Street Journal più che esclusiva, ha raccontato fuffa

Tempo di lettura: 4 minuti.

Ancora scoops dagli Stati Uniti d’America che vengono annunciati in pompa magna dalla stampa italiana. La notizia del giorno è che Facebook ha una piattaforma, denominata Xcheck, che assolverebbe una elite di 5,2 milioni di utenti circa dall’osservanza delle proprie policy sempre più restrittive sulla pubblicazione dei contenuti.


LA NOTIZIA


Secondo il Wall Street Journal, testata autrice dell’inchiesta, un documento tratto da una fonte anonima dimostra l’esistenza della piattaforma elitaria e porta come esempio quello di Neymar che pubblicò la foto di una donna nuda, colpevole di averlo denunciato per stupro, ed il social non avrebbe rimosso il contenuto in tempi brevi. Questo l’esempio per dimostrare che sulla piattaforma di Zuck c’è chi gode di impunità.


SIAMO TUTTI UGUALI


Facebook, attraverso il suo proprietario Zuckerberg, aveva dichiarato poco tempo fa che dinanzi all’algoritmo delle policy ed alla verifica degli utenti umani, chiamati in un secondo momento a valutare quelle che possono essere delle “storture” del sistema, la legge è uguale per tutti.

La legge è da sempre “non uguale per tutti” nel mondo reale e non può esserlo in quello virtuale, soprattutto quando si parla di società private che svolgono funzioni pubbliche e di emendamenti che li tutelano da qualsiasi azione criminale, ma una lancia a favore degli “immuni” la si deve spezzare per un motivo in particolare. L’algoritmo di Facebook, comprese tutte le multinazionali social, è incapace di reagire alle segnalazioni di massa che imperversano quando ci si viene beccati dalla corrente non proprio abituata a tollerare determinati contenuti e che sfrutta in massa lo strumento di segnalazione del contenuto sgradito e questa attività porta al ban del contenuto indipendentemente dalle policy del social.


Quindi l’immunità ha una sua funzione.


QUALI SONO I REQUISITI PER AVERLA?


I requisiti non sono sempre chiari, alcuni social hanno le liste di attesa, altri invece hanno sospeso l’approvazione dei profili “vip”, ma è palese che la piattaforma richiede molte documentazioni che attestano l’attività di chi richiede l’ingresso nell’elite, che sia tra l’altro esclusiva.


PERCHÉ L’INCHIESTA È UNA FINTA INCHIESTA?


Perché si tratta del segreto di Pulcinella, perché tutti sanno che esistono i favoriti dei social, e non è la prova dell’esistenza di Xcheck a rendere pubblico un fenomeno che fino ad oggi ha favorito carriere rispetto ad altre. Già oggi, produttori, editori, influencer di ogni tipo, hanno la possibilità di contattare il signor Facebook e chiedere spiegazioni. Questa opportunità non è collegata invece alle povere anime che ogni giorno sono vittime di segnalazioni di massa, che se ingiustificate rende la piattaforma social connivente con atti di cyber bullismo che incidono non solo sulla psiche degli utenti, sempre più affetti da patologie collegati al mondo virtuale, ma generano anche un mancato guadagno. Per non parlare di chi ha avuto il canale YouTube chiuso ed è andato in quel di Mountain View a fare strage di dipendenti perché non ha ottenuto chiarimenti.


Esistono già dei precedenti che interessano questioni torbide nei social e l’ultima ha riguardato Twitter quando è stata hackerata e i profili esclusivi di gente come Musk, Bill Gates e Bezos pubblicarono dei tweets dove promettevano di restituire il doppio della somma di bitcoin che gli venivano versati. Questo tipo di attacco fu possibile proprio grazie al fatto che il sistema di gestione degli utenti di Twitter aveva la possibilità di fare questo ed altro, dimostrando che un qualsiasi dipendente, che aveva accesso a questa funzione, poteva decidere vita e morte “sociale” di chiunque.


QUALE SAREBBE STATA LA VERA INCHIESTA ?


La vera inchiesta sarebbe potuta esistere già da tempo e da quando emergevano le prime strategie dei giganti tech che incontravano, con il favore delle tenebre, molti autori escludendo di fatto la politica. A testimoniare questo “Bildeberg” dei contenuti web c’è un video di Jovanotti che spiega per bene la strategia che avrebbe in futuro dettato l’agenda politica del mondo negli anni seguenti.


E le prove concrete ci sono state in questi anni dove i politici hanno fatto politica più colpi di tweets che di cose ocncrete, ma si sono trovati contro influencer o gruppi ed etnie canalizzate nel fare dura opposizione sfociata spesso con rivolte di piazza, che in alcuni casi hanno fatto cadere addirittura dei governi. Un po’ come chiedersi se il successo di alcune persone artisticamente mediocri sarebbe esistito senza le loro battaglie politiche, oppure con impostazioni di pensiero ideologiche opposte a quelle attuali. Quindi il problema non è sapere se esista o meno una censura a giorni alterni, due pesi e due misure per intenderci, ma comprendere questo sistema da chi viene manovrato e in favore di?


LA VERITÀ SCOMODA


Purtroppo la verità è un’altra e nemmeno il Wall Street Journal la può raccontare. Perché raccontare la verità può significare che gli sponsor vengono meno, che i post su Facebook abbiano meno visibilità organica rispetto alla massa, quindi meglio non entrare nel merito di quello scandalo globale che ogni giorno sta monopolizzando il mondo intero ed è forse consigliato ai giornalisti di prestarsi alle battaglie politiche che portano qualcosa in cambio agli editori e li favoriscono la strada nel paradiso degli influencer perché schierati dalla parte giusta. Nel caso di Facebook c’è qualcosa di diverso. La politica americana non vuole la morte del primo social media, ma vuole trattarlo alla stregua della RAI italiana e precisamente vorrebbe lottizzarlo per gestirne la linea editoriale.


Una linea che non è mai stata chiara secondo molti, ma è chiaro che nel tempo Facebook ha premiato gli algoritmi di alcune società schierate verso l’ala progressista e democratica del mondo e che hanno investito fior di quattrini sulla piattaforma con sponsorizzate dei propri contenuti. Sulla questione Trump, Zuckerberg è stato anche molto più serio di altri, vedi Dorsej che ha fatto campagna elettorale per Biden invece, perché ha bannato Trump dopo la sua sconfitta politica, nonostante l’ala arcobaleno e antirazzista dei suoi dipendenti esercitasse pressioni dall’interno.

Che Zuckerberg stia pagando lo scotto di non aver condiviso l’azione congiunta verso l’azione di Trump?

Che stia pagando il suo non aver ceduto ai ricatti degli sponsor sotto elezioni americane?

Oppure è semplicemente sotto attacco delle varie anime politiche che vogliono mettere mano ad un potere elitario come denuncia l’inchiesta del Wall Street Journal?

Appunto quel potere elitario di cui anche il Wall Street Journal fa parte ed è per questo che l’inchiesta è fuffa e non affronta il nodo essenziale della vicenda: a chi giova tutto questo?

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

Pronto a supportare l'informazione libera?

Iscriviti alla nostra newsletter // Seguici gratuitamente su Google News
Exit mobile version