Inchieste
INCHIESTA ANONIMATO ONLINE: Stefano Zanero smonta la proposta “inefficace” di Marattin

Iniziamo la nostra inchiesta sull’anonimato intervistando uno dei maggiori detrattori della proposta di Marattin per quanto concerne l’associazione di un documento di identità ad un profilo social. Stefano Zanero è un giovane Professore associato a tempo pieno di Informatica del Politecnico di Milano con un curriculum di “appena” 19 pagine. C’è chi lo ha bollato come “non addentro alle questioni sollevate da Marattin”, ma è chiaro che, indipendentemente da quanto egli sostiene, rappresenta un valido contributo al tavolo di concertazione aperto da noi di matricedigitale, che ha lo scopo di individuare una strada percorribile che tuteli non solo l’anonimato, ma anche chi è vittima di coloro che approfittano di un uso improprio della possibilità di navigare sotto traccia nella rete internet.
E quindi l’eccesso della libertà fa male?
Siamo davvero convinti che l’anonimato in un contesto europeo, quindi democratico, sia dovuto?
E’ un deterrente contro il crimine informatico?
E’ utile contro i profili falsi ed i BOT?
Questi sono quesiti che dovranno trovare risposta nell’intervista che segue.
Professore, la proposta di Marattin, per me che sono un giornalista che ha vissuto sulla sua pelle minacce, offese e diffamazioni sia da profili falsi che reali, non è inopportuna, ma risulta rischiosa certamente perché potrebbe comportare un abuso da parte dei poteri forti e politici del paese. Cosa la separa dal punto di vista del deputato di Italia Viva?
Non è possibile tecnicamente mettere in atto quanto auspicato da Marattin perché sarebbe una misura ristretta al territorio italiano. Infatti, basterebbe registrarsi ai social con indirizzo IP straniero ed una connessione VPN. Non risulterebbe praticabile, inoltre, perché costruirebbe un DB di documenti di identità presso infiniti terzi non essendo solo un problema circoscritto ai social network, ma anche ai blog e ad ogni piattaforma aperta ai commenti degli utenti.
Quando ho definito rischiosa la proposta è perché giorni fa ho studiato il caso di un troll su Twitter che offendeva la deputata Cirinnà, e altre di Italia Viva come la Boschi, ma che in realtà condivideva molti post contro Salvini prima di diventare un troll seriale. La Cirinnà ha appoggiato energicamente la proposta di Marattin, questo può far nascere il sospetto sulla possibilità di una strategia di reazione indotta?
Sono sempre dell’opinione di spiegare le cose in modo semplice senza dietrologie. I troll vanno a vento, quello del denaro precisamente. Ci sono casi di troll che un giorno andavano a favore di una idea o un partito ed il giorno successivo appoggiavano l’idea opposta. Quello delle offese è un problema che coinvolge molti, se non tutti, i personaggi famosi e porto gli esempi della Cirinnà, Boldrini fino ad arrivare allo stesso Muccino, che ha avallato la proposta di Marattin. Si evince quindi che c’è un ceto sociale composto da personaggi famosi che giustamente soffre un disagio derivante dalle offese gratuite e perpetrate nel tempo da parte di sconosciuti e comprendo anche che, non essendo preparati tecnicamente, pensano di risolvere questioni così complesse con soluzioni molto elementari. Mi preme precisare che la proposta di Marattin viene a margine di altre richieste effettuate da Pagano di Forza Italia, Leu, più Europa, Movimento Cinque Stelle e quindi non consiste in nessuna novità, ma in una linea d’azione ricorrente dei partiti sul tema.
Sia tecnicamente che ideologicamente ha bocciato la proposta, le chiedo allora quali sono le sue proposte concrete per affrontare il problema dell’odio social diversamente da come l’ha affrontato Marattin.
La soluzione di Marattin è troppo semplice. Gli account cosiddetti anonimi sono già poco nascosti perché ci sono riferimenti indicativi dell’utente come l’indirizzo IP e l’ora di collegamento. Gli strumenti ci sono già, ma il problema è l’attuazione delle leggi in vigore. Per esempio, si fa la denuncia all’Autorità Giudiziaria che la gira al PM, quest’ultimo spesso è costretto ad adire ad una rogatoria internazionale per ottenere i dati dell’utente. La complessità di questa procedura risiede nel fatto che gli interlocutori sono società estere e rappresenta già un freno per i giudici, costretti a contenere i costi richiesti dall’azione giudiziaria, che li espone comunque ad una valutazione preventiva da parte di un altro giudice. Se la rogatoria viene effettuata dall’Italia, per esempio, verso gli USA, chi dà poi parere favorevole al rilascio delle informazioni da parte della società è un giudice americano, che valuta secondo la normativa ricorrente del paese. Si può immaginare che spesso la rogatoria venga considerata inammissibile per via di un diverso trattamento del reato a seconda dello stato dove giunge la richiesta. Quindi consiglio a Marattin di focalizzarsi sull’attuazione degli strumenti già presenti nel nostro ordinamento, potenziando la rogatoria, magari rendendo prima di tutto le procedure delle denunce più snelle sia per chi le fa sia per l’Autorità Giudiziaria che deve elaborale. E’ un problema di Giustizia, dei fondi da investire nel campo, piuttosto che aggiungere una inutile misura che riguarda i documenti di identità.
I profili falsi sono un business per le multinazionali e per i social network, più sono gli utenti farlocchi più pesa il valore di una azienda del campo. E spesso dietro i profili falsi si nascondono criminali come truffatori e pedofili. Anche qui non c’è condivisione con Marattin?
Qui scopre il nervo più sensibile di questa situazione: i profili falsi. Quello che sostiene è corretto, anche se i profili “anonimi” in pochi casi cono collegati a malintenzionati. Qui si apre ad un conflitto di interessi notevole che non avviene esclusivamente nella vita virtuale. Prendiamo ad esempio l’inquinamento. Le aziende preferiscono utilizzare procedure inquinanti rispetto a quelle più “verdi” perché costano di meno. Come si fa allora? La politica ha già affrontato questo argomento e si è trovata come soluzione quella che viene definita l’externality recharge: sanzionare i danni derivanti da reati generati all’interno dei social network. Questo però può essere possibile con leggi di livello europeo o addirittura globale, ma sarebbe un deterrente efficace perché responsabilizzerebbe gli attori principali del mercato.
Subentra nella discussione anche il business dei BOT. Abbiamo visto come il fenomeno dilaga sui social per manipolare le masse. Senza BOT forse ci sarebbe più condivisione e partecipazione umana nei pensieri politici degli elettori del Paese, non trova?
Posto che secondo me è un grande problema che non si può risolvere tecnicamente e questo evidentemente Marattin non lo sa, visto che anche per i bot vale la regola che è possibile registrarli con IP stranieri. La soluzione è quella di rendere la permanenza dei BOT nell’ecosistema social onerosa fino a renderla economicamente insostenibile. Inoltre, voglio precisare che la proposta del deputato di Italia Viva non andrebbe assolutamente a colpire il sistema dei bot che dovrebbe essere normata a livello mondiale e quindi è impraticabile da un punto di vista tecnico. Se proprio dovessi trovarti dei punti positivi che consentirebbero di andare incontro alle intenzioni di Marattin, direi che in ogni punto della sua proposta si potrebbe lievemente avere dei risultati, ma mai sulla questione dei BOT.
Che male c’è nel dare i documenti se poi i social ci consentirebbero comunque di scegliere il nostro nome, il nostro gender nel rispetto delle regole sulla privacy? Anche perché i social, e non solo, già hanno profilato mezza popolazione mondiale senza documenti di identità.
Domanda pertinente, che sollecita un intervento normativo sull’utilizzo dei dati in possesso delle multinazionali del web, ma che fa emergere un controsenso: non puoi consegnare i documenti di identità alle multinazionali se per anni ti sei opposto alla profilazione dei dati da parte loro. Mi sembra una idea pessima, oltre che controproducente.
Un noto avvocato napoletano, pochi giorni prima della petizione di Marattin, ha fatto una proposta condita con un pizzico di provocazione e precisamente ha invocato per i social una identità digitale correlata a misure punitive come il Daspo ed addirittura l’ergastolo digitale. Cosa pensa in merito?
Visto che gli avvocati fanno proposte tecniche, mi azzardo a fare una proposta giuridica e cioè che ad ogni proposta normativa sul tema sia allegato un piano di fattibilità tecnico firmato da un ingegnere informatico o delle telecomunicazioni. Scherzi a parte, è tecnicamente impossibile e meno male che non lo è perché la considero una evenienza riprovevole. Se riflettiamo meglio, già esiste sotto forma di restrizione della libertà altrui come misura coercitiva comprensiva di divieto della navigazione online. Per alcuni casi dove è necessario monitorare gli spostamenti di un cittadino colpito da misura punitiva si usa un braccialetto elettronico, ma qui non mi viene in mente nessuna soluzione.
Inchieste
ACN finalista su LinkedIn: spegnetegli i social

“A pensar male ci si azzecca” diceva qualcuno di molto importante nella storia del nostro Paese.
L’Agenzia della Cybersicurezza Nazionale ha venduto sui social un grande successo che in realtà ha confermato una grande parte delle critiche mosse al suo ufficio di comunicazione da molti esperti informatici del Paese. Molta fuffa, molta politica, tantissima comunicazione e grande autoreferenzialità all’interno dei social network, ma pochissima sostanza.
Durante un periodo in cui l’ente è finito in un turbine di polemiche in seguito ad attacchi informatici da ogni dove, tra l’altro che hanno interessato più volte gli stessi obiettivi, c’è chi sui social ha pensato di vendersi l’essere rientrata tra i finalisti in un contest organizzato da LinkedIn.
Sì, proprio quella piattaforma utilizzata dall’Agenzia per una comunicazione “uno a molti” dove dipendenti dello Stato hanno più volte dato patenti di ignoranza ad esperti informatici che hanno dimostrato di aver svolto il ruolo delle “cassandre” e li ha offesi o addirittura minacciati via mail quando è stato segnalato un bug al CSIRT. LinkedIn, di proprietà della Microsoft che ha stipulato con l’ex direttore Baldoni un accordo per formare 100.000 esperti informatici nei prossimi anni a botte di certificazioni Microsoft, ha inserito tra i finalisti l’ACN per aver speso speso più tempo sul social network a dirsi di essere “bella e brava” ed “innovativa” senza però risolvere concretamente i problemi del paese per i quali è stata costituita.
Speriamo vinca il premio finale, altrimenti oltre ad aver messo in cattiva luce le proprie capacità pratiche, la beffa di non portare a casa la “mucca Carolina” sarebbe il colpo finale ad un’attività di comunicazione per un ente totalmente tecnico che dovrebbe spegnere i social ed occuparsi della sicurezza cibernetica in Italia.
Inchieste
Sanremo multato per il conflitto di interessi della Ferragni con Meta
Tempo di lettura: 3 minuti. Un mese a contestare i giornalisti, per aver fornito una lettura sul modo di fare affari dell’influencer, per poi ritornare a seguirne le televendite sugli organi di informazione

“Perché ce l’avete con la Ferragni?”
“Siete invidiosi per il solo fatto che lei ce l’ha fatta?”
Queste sono alcune delle opposizioni, alcune argomentate da offese, che sono giunte alla redazione per aver mostrato giornalisticamente il conflitto di interessi di Chiara Ferragni al festival di Sanremo.
L’influencer digitale, ha rinunciato al suo cachet da 50.000 € ed è stata acclamata dal grande pubblico per questa iniziativa che in realtà si è dimostrata un atto dovuto per consentire al circo Ferragnez di incamerare indisturbato maggiori introiti al Festival dando visibilità alle aziende che hanno imposto non solo una linea commerciale, bensì anche una ideologica.
Molte persone, abituate a seguire la coppia dalla mattina alla sera nelle proprie attività commerciali che vengono spacciate come contenuti giornalistici dalle testate, anche quelle più prestigiose, che si occupano anche di gossip e di spettacolo, non sono riuscite a comprendere che le denunce giornalistiche hanno riguardato una promozione “gratuita” di Instagram all’interno del festival più importante in termini di visibilità d’Italia, dimostratosi un’operazione subdola e scorretta secondo i regolamenti in vigore nella giustizia civile. Non è un caso infatti che gli autori del Festival di Sanremo hanno dapprima impostato la difesa su due livelli temporanei non riuscendo a convincere il collegio giudicante dell’AGCom. In primo luogo hanno detto che era una gag improvvisata tra l’autrice, nonché imprenditrice chiamata sul palco dell’Ariston grazie al successo ottenuto su Instagram e gli autori del format televisivo si sono detti all’oscuro compreso il conduttore e direttore artistico Amadeus. La verità ci ha messo poco a venire a galla e si è scoperto che l’evento Instagram fosse presente in scaletta e quindi nessun effetto sorpresa se non perché venduto come tale ai telespettatori della prima serata.
Successivamente, in seguito ad una scansione dei contratti pubblicitari, dove non è chiaro se fossero presenti accordi con Meta o se ci sia stata una pubblicità occulta fatta dalla Ferragni in combutta con gli organizzatori e responsabili del festival di Sanremo. Indipendentemente dalla presenza o meno di contratti, non è stato esplicato in quel momento che ci fosse un riferimento pubblicitario dovuto sia nell’uno che nell’altro caso.
In sintesi, il problema non è che Matrice Digitale o altri quotidiani sono stati invidiosi del successo della Ferragni e nemmeno che hanno “puntato”, giornalisticamente parlando, il personaggio, ma è chiaro che i dubbi sollevati contro l’influencer non solo erano motivati, ma evidenzia l’esistenza di un giornalismo che ad oggi non riesce a far comprendere la differenza tra un contenuto patinato di interesse frivolo rispetto a quello che invece rappresenta il giornalismo di informazione pura scevra da inserimenti commerciali e da pubblicità occulte.
Non riesce a mostrare oppure non può per preservare gli introiti pubblicitari a tema sui propri canali di informazione e che pagano più per contenuti simili?
Sarebbe forse il caso di rivedere il modello degli analfabeti funzionali del nostro paese, molti dei quali non hanno compreso che se hai successo nella vita dovresti dare l’esempio, soprattutto se ti vesti da rappresentante del femminismo, e invece ritengono che ci siano anche le possibilità di ottenere dei lasciapassare rispetto agli altri poveri umani che non ce l’hanno fatta e che se lo fanno notare sono automaticamente invidiosi secondo la massa che supporta il modello social. L’Autorità Garante nelle Comunicazioni ha multato il Festival di Sanremo per la pubblicità occulta, una manna dal cielo per chi è ben consapevole che Meta viene spesso trattata con i guanti di seta dal Garante Privacy che mostra sempre una linea di collaborazione, invertendo il ruolo istituzionale con quello aziendale, nonostante i cittadini italiani ed europei siano stati vittime più volte degli attacchi informatici che hanno ne hanno messo in rete i dati personali e sensibili.
Inchieste
Zuckerberg licenzia altri 10.000 dipendenti, abbandona NFT e Metaverso, e copia Telegram
Tempo di lettura: 2 minuti. Poche idee e troppi progetti ma la società ha perso credibilità nei confronti dei suoi utenti

È ufficiale, Instagram sta copiando un altro concorrente. Il CEO di Meta, Mark Zuckerberg, ha annunciato il mese scorso una nuova funzionalità su Instagram – i Canali. Questo nuovo servizio di chat consente ai creatori di condividere messaggi, sondaggi e foto con i follower al fine di stabilire una relazione più diretta con loro, simile alla funzione canali su Telegram.
Zuckerberg ha introdotto la nuova funzionalità aprendo il proprio canale, dove intende continuare a condividere aggiornamenti riguardanti Meta. Zuckerberg ha anche dichiarato che il servizio di chat arriverà su Facebook Messenger nei prossimi mesi. In seguito, verrà aggiunta anche la possibilità di aggiungere un altro creatore di contenuti al canale e aprire una sezione di domande e risposte (AMA, chiedimi qualunque cosa). Nel frattempo, Instagram sta attualmente testando i canali con alcuni creatori selezionati negli Stati Uniti, con l’intenzione di espandere la release della funzionalità nei prossimi mesi.
Questa nuova funzionalità offre anche ai creatori un nuovo modo per aggiornare i loro follower. Fino ad ora, i creatori di contenuti dovevano aggiornare le loro storie su Instagram per condividere notizie e aggiornamenti con i loro follower. Ma ora possono utilizzare un modo più diretto per connettersi con loro. Coloro che si uniscono ai canali possono votare nei sondaggi ma non possono partecipare alla conversazione.
Crisi NFT. Questo ed altri buoni propositi nel cestino di Meta
Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha deciso di rimuovere il supporto agli NFT (non-fungible token), oggetti da collezione digitali, meno di un anno dopo il loro lancio ufficiale sui due social network. La decisione è stata presa per concentrarsi su altri modi per supportare creator, persone e aziende. La compagnia sta già lavorando su nuove funzionalità come la messaggistica e le operazioni di monetizzazione per Reels e sta investendo in strumenti fintech come Meta Pay e i pagamenti tramite messaggistica su Meta. Questa decisione sembra suggerire che Meta stia cercando di proporre un’alternativa valida agli NFT, che sono stati considerati in crisi da molti. Tuttavia, la decisione è sorprendente poiché Mark Zuckerberg aveva presentato gli NFT come un elemento utile allo sviluppo del metaverso. Meta ha già chiuso altri progetti ambiziosi come il portafoglio di criptovalute Novi, il programma di bonus per i creator di Reels e la divisione “Reality Labs”. La società sembra essersi lanciata in progetti troppo ambiziosi che ora non riesce a seguire come vorrebbe, e l’eccessiva ambizione del CEO sta cominciando a farsi sentire sull’attività di Meta.
Altri 10.000 licenziamenti per far volare il titolo in borsa
Mark ha annunciato la decisione di licenziare altri 10.000 dipendenti su un organico di poco meno di 80.000 persone. L’azienda ha dichiarato che questo è necessario per ridurre i costi e aumentare la distribuzione di risorse agli azionisti. La società di Mark Zuckerberg ha affermato che nei prossimi mesi annuncerà un piano di ristrutturazione, cancellando i progetti a bassa priorità e riducendo il tasso delle assunzioni. Zuckerberg ha descritto la decisione come difficile ma necessaria per il successo dell’azienda, aggiungendo che verranno chiuse anche altre 5.000 posizioni aperte. Questa non è la prima volta che l’azienda licenzia dipendenti, infatti, lo scorso novembre ne aveva già licenziati 11.000. Lo scorso febbraio, la società ha annunciato anche un piano di riacquisto di azioni proprie da 40 miliardi di dollari per aumentare il valore delle azioni a beneficio dei soci e dei manager.
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