L’AI incastra YouTube che pratica lo shadow ban ai giornalisti. Ecco come rilevarlo

Le piattaforme censurano le notizie delle testate giornalistiche. Ecco come fanno, come scoprirlo e quali valori vengono minati

da Livio Varriale
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YouTube Shadow Ban

Per chi ha fretta

YouTube applica lo shadow ban sui canali

Matrice Digitale ha fatto un esperimento investendo soldi in pubblicità ed ha scoperto come rilevarlo

Puntando dei soldi su dei video giornalistici, YouTube nega le sponsorizzate

Questo si riflette sulla crescita organica dei video

Un canale da 3700 iscritti non va oltre le 20 visualizzazioni organiche

Si contatta YouTube che nega problemi tecnici e shadow ban

Gli si risponde con le analisi di due AI (Gemini Advanced e Chat GPT 01) che contestano la teoria delle poche visite ed il modo di comunicare della piattaforma.

Tutto OK?

No, perchè c’è di mezzo la Libertà di Stampa prim’ancora della libertà di espressione ed una logica di mercato che penalizza alcuni soggetti in favore di altri e questo favorisce un ambiente di concorrenza sleale.

Cosa sta succedendo al mondo dell’editoria e dell’informazione? Dal punto di vista settoriale c’è poco da dire: il mondo dell’informazione è stato totalmente abbandonato alla sua natura, e cioè quella di essere visibile all’interno della rete internet nelle sue più totali sfaccettature, anche interpretative. Quello che emerge oggi è un sistema che, purtroppo, si è consolidato negli anni e ora si è incancrenito, andando a colpire persino i colossi della rete. Matrice Digitale, sulla base della propria esperienza, ha iniziato a esaminare come funzionano i social network e l’informazione, e lo scenario futuro non sembra affatto positivo.

Facebook uccide i piccoli e impoverisce i ricchi

Non è un caso che la pagina Facebook di Matrice Digitale, con i suoi 80 mila iscritti, registri non solo poche interazioni, ma incontri anche problemi di pubblicazione a seconda delle infrazioni individuate dalla piattaforma. È un aspetto da non sottovalutare, considerando che una testata giornalistica dovrebbe poter pubblicare qualsiasi contenuto compatibile con la legge. In realtà, però, più volte abbiamo affrontato il tema dello shadow ban, che esiste ed è reale, benché sia stato negato per anni e abbia trovato conferma nelle dichiarazioni di Mark Zuckerberg. Il problema di fondo è che l’algoritmo di Facebook scambia notizie di cybersecurity, cybercrime o persino di guerra cibernetica con contenuti potenzialmente nocivi, finendo per penalizzarli. È un fenomeno interessante da un punto di vista sociologico, perché al pubblico certe dinamiche non interesserebbero nemmeno, ma in termini di diritti umani e di corretta informazione si tratta di un grave ostacolo.

Se i media incontrano ostacoli, la situazione non è più rosea altrove. Non soffrono solo i piccoli editori, ma anche i grandi. È il caso del Corriere della Sera, un esempio lampante. Negli ultimi giorni, il Corriere sta dedicando numerosi articoli all’universo Meta, in maniera piuttosto negativa. Questo fatto deve far riflettere: un quotidiano tra i più quotati in Italia, considerato storico e affidabile dall’algoritmo di Facebook, si ritrova ora a pubblicare i propri link con strategie di social media manager — come il link in descrizione — che sanno di espedienti di qualche anno fa. È un ritorno al periodo in cui il New York Times, nel credere che le piattaforme social potessero dare nuova linfa all’editoria, cominciò a diffondere gli articoli senza rimandi diretti al sito. L’illusione era che tali contenuti avrebbero potuto generare ricavi per il quotidiano. In realtà, quelle pubblicazioni non facevano altro che accrescere la brand awareness della stessa Meta, senza produrre riscontri economici positivi per il giornale. Da allora, molte testate hanno speso — e continuano a spendere — denaro in sponsorizzazioni, nel tentativo di promuovere link che, in una fase di ricavi sempre più compressa, non riescono a sostenere il valore di uno spazio pubblicitario venduto in modo tradizionale.

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Il paradosso della censura di Meta: Notizia su novità tecniche di WhatsApp che viola le norme

Un ulteriore elemento di complessità è rappresentato dal fatto che la stessa Facebook (o Meta) censura post di Matrice Digitale che parlano di competitor nel campo dell’intelligenza artificiale o addirittura di Meta stessa, come è accaduto alla nostra redazione con notizie riguardanti WhatsApp e questo ha portato anche a limitazioni personali dei profili titolari che non possono pubblicare su FB.

Se vuoi popolarità su X devi inziare a pagare

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L'AI incastra YouTube che pratica lo shadow ban ai giornalisti. Ecco come rilevarlo 11

Sul versante opposto c’è X, il social di Elon Musk, teoricamente più libero e in cui tutti possono esprimersi. In effetti, X concede maggiore libertà rispetto ad altre piattaforme, conservando comunque le sue specifiche regole. Per chi dispone di un abbonamento personale esiste una crescita quasi esponenziale in termini di visibilità, anche se bisogna sempre rimanere allineati agli argomenti di tendenza del momento. Resta il fatto che, negli ultimi tempi, la stessa X e i suoi abbonati stanno sì raggiungendo ampie platee, ma spesso si vedono consigliare di sponsorizzare i propri post per ottenere ulteriore rilievo soprattutto dopo un post visibile e questo sembrerebbe essere sintomo di una modifica dell’algoritmo in favore di un potenziamento delle campagne commerciali.

Dalla padella a YouTube

Tutto questo per dimostrare che l’informazione è bloccata da meccanismi verticali, e la stretta di cui sono vittime i piccoli editori non risparmia neppure quelli più grandi. Se consideriamo poi la questione YouTube, il panorama si complica ulteriormente. Matrice Digitale ha avuto modo di riottenere il proprio canale, precedentemente chiuso dalla piattaforma di Google per presunta “vendita di farmaci su prescrizione”. Riaperto il canale, con i suoi 5.700 iscritti, si sono riscontrati fenomeni anomali: a fronte di migliaia di utenti, i video si fermavano nei migliori dei casi a 10 visualizzazioni. Viene spontaneo chiedersi se quei contenuti fossero stati considerati illeciti o soggetti a restrizioni “silenti”. Matrice Digitale ha indagato, scoprendo elementi che fanno ipotizzare ancora una volta filtri o penalizzazioni invisibili.

Sono sorprese che confermano una realtà scomoda: dalla più grande testata nazionale alla piccola redazione indipendente, nessuno sembra al riparo dai labirinti degli algoritmi e dalle logiche opache dei social.

Dinanzi a delle visite di bassa frequenza arrivate per prime, Matrice Digitale ha preferito iniziare a indagare sulla possibile esistenza di uno shadow ban. In primo luogo, si è proceduto a sponsorizzare tutti i video pubblicati. La maggior parte di questi video è stata rigettata con una percentuale del 100%. Cosa succede però? Accade che si presentano contestazioni sulla piattaforma di Google Ads anche alle sponsorizzazioni.

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Dal basso: le prime due approvate dopo revisione, le altre due simili ma non approvate, notizie giornalistiche “esclusive tra l’altro” gettate fuori mentre un video vecchio posizionato già con molte visite passato senza problemi

Queste sponsorizzazioni portano, dopo una trattativa, allo sblocco di un video che parla di Samsung e iOS, e di un altro che tratta della cancellazione attiva del rumore. Una volta sbloccato, il primo video ha un’ottima performance in termini pubblicitari, ma terminata la sponsorizzazione, il video muore. È strano, perché YouTube, ragionando in modo intuitivo, dinanzi a un contenuto che ottiene il 50% di interazioni o giù di lì, dovrebbe rilanciarlo in maniera organica; e ciò non è successo.

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Video che raggiungono il 30% di like sulle visualizzazioni come non possono crescere sull’organico?

Si procede allora con altre sponsorizzazioni riguardanti i dazi di Donald Trump o il caso Paragon, con discorsi di attualità, ma Google Ads inizia a opporre resistenze su tutti i contenuti sponsorizzati facendo riferimento a norme elettorali nell’Unione Europea e addirittura negli States e nel caso dei dazi di Trump sembrerebbe appunto che il problema di propaganda elettorale sia la copertina.

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Eppure, sulla base dei contenuti pubblicati e delle contestazioni ricevute, tutti i media italiani dovrebbero essere stati già bannati. Che sia una conferma di uno scenario ancora più divisivo con Media e Creator di serie A e Media e Creator di Serie B? Eppure queste cose, white lists, le facevano solo su Meta.

Emergono così due aspetti. Il primo: YouTube pretende di stabilire la linea editoriale di una testata giornalistica e di un giornalista professionista indipendenti. Il secondo: nonostante i video non contengano argomenti che non infrangano regole formali, sembrano soggetti a una limitazione algoritmica preventiva. Si contatta allora il supporto di YouTube Creators per chiedere come sia possibile che un canale con 3700 iscritti non raggiunga nemmeno il 3% o 10% di visualizzazioni iniziali. La risposta, però, si risolve in frasi fatte: YouTube e Google replicano con indicazioni generiche, quando si cerca di capire perché un video, con 3700 utenti di base, non superi il 3% o il 5% di visite.

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L'AI incastra YouTube che pratica lo shadow ban ai giornalisti. Ecco come rilevarlo 12

L’assistente risponde, non sapremo mai se è una persona vera o una persona gestita da un bot di intelligenza artificiale, inizia a disquisire facendoci notare che praticamente le tecniche di rilevamento algoritmiche di YouTube, dopo che ha effettuato un controllo che esclude totalmente lo shadow ban che non viene utilizzato dalla piattaforma, inizia appunto a fornire delle istruzioni su come dovrebbe funzionare l’algoritmo giustificando il fatto appunto che YouTube ha un algoritmo che consentirebbe all’utente, pur con i 3700 iscritti, di non avere un minimo di partenza di iscritti.

L’AI in supporto dell’utente

Abbiamo provato quindi ad avvalerci di due modelli di intelligenza artificiale tra i migliori presenti sul mercato e quindi OpenAI ChatGPT 01 e Google Gemini Advanced Pro 2.5. Abbiamo analizzato le conversazioni mail tra le parti coinvolgendo nello scambio di mail l’assistenza di Google messa alle strette ed il motivo è quello che potete leggere secondo le due analisi fornite in risposta alla mail.

Ho fatto analizzare la sua conversazione con la mia da ChatGPT e la risposta è stata questa:

Dalla mia esperienza e analizzando la conversazione, il fatto che un video venga visualizzato da sole 7 persone partendo da una base di 3700 iscritti, almeno in teoria, è altamente improbabile. Anche considerando che non tutti gli iscritti siano attivi o abbiano attivato le notifiche, ci si aspetterebbe comunque un numero di visualizzazioni ben superiore.

In particolare, alcuni aspetti chiave vanno considerati:

• Engagement e attivazione delle notifiche: È un dato noto che la percentuale di iscritti attivi (cioè quelli che interagiscono o ricevono le notifiche) è molto inferiore al totale, ma comunque il gap fra 3700 iscritti e 7 visualizzazioni è enorme. Anche con un tasso d’engagement molto basso, ci si aspetterebbe almeno qualche centinaio di visualizzazioni, non una cifra così esigua.

• Algoritmo e durata della visione: La risposta di Alexia sottolinea che, a seguito delle analisi, la durata media di visione risultava inferiore al consueto. Questo potrebbe indicare che, per mancanza di interesse o di fidelizzazione, il video non viene ulteriormente spinto dall’algoritmo. Tuttavia, una tale mancanza di distribuzione anche tra gli iscritti rimane paradossale.

• Misurazione e possibili discrepanze: È plausibile che ci siano delle anomalie nella misurazione o nella distribuzione delle visualizzazioni. La disparità tra il successo durante la sponsorizzazione e l’assenza quasi totale di visualizzazioni organiche suggerisce che ci siano meccanismi interni (forse legati alle metriche del tempo di visione) che incidono pesantemente sul raggiungimento del pubblico, oltre ai limiti numerici stabiliti dal canale.

In sintesi, il mio parere è che un video destinato a una base di 3700 iscritti non debba mai arrivare a soli 7 visualizzazioni in modo organico. Tale situazione solleva dubbi sulla corretta distribuzione del contenuto e, possibilmente, su problemi di misurazione o di strategia algoritmica, rendendo necessario un approfondimento per capire se si tratti di un caso isolato o di una problematica più ampia.

Questo è quello che invece mi ha scritto la “vostra” Gemini 2.5 pro:

Certamente, analizziamo la conversazione e la situazione che descrivi.

Analisi della Conversazione:

  1. Tua Posizione (Livio):
    • Chiarezza: Hai esposto il problema in modo dettagliato e logico. Hai fornito dati specifici (3700 iscritti, <1% di conversione organica, 2-5 visualizzazioni) e hai usato un argomento forte (il confronto con le sponsorizzate e il loro blocco successivo) per supportare la tua ipotesi di una limitazione non trasparente (“shadow ban” o simile).
    • Domanda Specifica: Hai posto una domanda diretta e pertinente sul trattamento riservato ai giornalisti/testate, differenziando la tua richiesta (editoriale) da quella puramente tecnica sulle Ads.
    • Frustrazione: Emerge una chiara e comprensibile frustrazione per una situazione che appare illogica e potenzialmente discriminatoria.
  2. Risposta di YouTube (Alexia):
    • Tono: Professionale e cortese, con scuse per il ritardo.
    • Negazione Esplicita: Nega l’esistenza dello “shadowban” sulla piattaforma. Questo è un punto chiave: YouTube tende a non usare questo termine, anche se esistono meccanismi per cui la visibilità di un canale/video può essere ridotta algoritmicamente per vari motivi (spesso legati all’engagement o a violazioni borderline delle policy).
    • Diagnosi Tecnica: Afferma che non ci sono problemi tecnici e sposta l’attenzione sulla durata di visualizzazione media inferiore al solito. Questo suggerisce che, dal loro punto di vista, il problema risiede nella capacità del contenuto di trattenere gli spettatori (un fattore cruciale per l’algoritmo).
    • Genericità: La conferma che le performance variano è una verità ovvia ma non risponde alla tua specifica anomalia (l’estrema bassezza delle visualizzazioni iniziali).
    • Reindirizzamento: Correttamente ti indirizza al team Ads per i problemi relativi alle sponsorizzazioni negate. Questo è importante perché le policy per le Ads sono distinte (e spesso più stringenti) rispetto alla visibilità organica, ma una negazione lì potrebbe indicare che il contenuto è stato segnalato per qualche motivo che potrebbe influenzare anche la reach organica, anche se non lo ammetteranno direttamente.
    • Mancanza di Risposta: Non risponde alla tua domanda specifica sul trattamento dei giornalisti/testate.

Giudizio sulla Conversazione:

La conversazione evidenzia un classico “dialogo tra sordi” che spesso avviene con il supporto delle grandi piattaforme:

  • Tu presenti un problema specifico con dati anomali e sospetti una causa sistemica o una penalizzazione nascosta.
  • YouTube risponde negando il termine specifico che usi (“shadowban”), afferma che tecnicamente è tutto a posto, e riconduce il problema a fattori standard di performance (engagement, durata visualizzazione) o a policy specifiche di altri reparti (Ads).

La risposta di Alexia, pur essendo formalmente corretta nei limiti delle informazioni che il supporto standard può/vuole dare, risulta insoddisfacente perché non affronta il cuore della tua anomalia (perché così poche visualizzazioni iniziali, anche prima di poter misurare una “durata di visualizzazione media” significativa?) e ignora la tua domanda sul trattamento editoriale.

È possibile che un video su 3700 iscritti faccia solo 5 visualizzazioni?

Sì, è tecnicamente possibile, ma è estremamente basso e indica quasi certamente un problema. Ecco perché:

  1. Algoritmo: L’algoritmo di YouTube non mostra i tuoi video a tutti i tuoi iscritti. Mostra il video a un piccolo sottogruppo iniziale. Se questo gruppo non interagisce positivamente (non clicca sull’impressione, o clicca e abbandona subito il video), l’algoritmo smette rapidamente di promuoverlo, anche agli altri iscritti.
  2. Notifiche: Molti iscritti non hanno le notifiche attive.
  3. Feed/Homepage: Il video deve competere con molti altri contenuti nel feed e nella homepage degli iscritti.
  4. Engagement Basso: Se i pochi iscritti che vedono l’anteprima (thumbnail + titolo) non la trovano interessante (basso Click-Through Rate – CTR) o se cliccano ma guardano solo per pochi secondi (bassa Audience Retention), l’algoritmo interpreta il video come di scarso interesse e ne limita drasticamente la diffusione. 5 visualizzazioni su 3700 iscritti suggerisce che pochissimi iscritti hanno visto l’impressione o che quasi nessuno di quelli che l’hanno vista ha cliccato, oppure che quei 5 che hanno cliccato hanno abbandonato quasi subito.
  5. Fattori “Nascosti” (Il tuo sospetto): Sebbene YouTube neghi lo “shadowban”, esistono cause per cui la visibilità può essere limitata:
    • Violazioni borderline: Contenuti che non violano apertamente le regole da meritare un strike, ma toccano argomenti sensibili o usano metodi che l’algoritmo non gradisce, possono subire una riduzione della visibilità.
    • Segnalazioni Ads: Il fatto che le sponsorizzazioni siano state rifiutate è un campanello d’allarme. Il sistema Ads ha rilevato qualcosa nel video (o nella pagina di destinazione, se presente) che viola le sue policy. È possibile che i segnali usati dal sistema Ads influenzino anche la distribuzione organica, anche se i due sistemi sono formalmente separati. Potrebbe trattarsi di temi controversi, linguaggio, immagini, ecc.
    • Problemi Tecnici Rari: Anche se Alexia li nega, bug temporanei possono accadere.

Capisco che lei stia facendo il suo lavoro, sempre che sia un essere umano e non una AI, ma ritengo che il supporto da lei fornito sia offensivo all’intelligenza umana e anche artificiale a quanto pare.

A proposito, è possibile che gli iscritti abbiano meno le notifiche attivate, ma questo ovviamente non giustifica il perché un video dopo 4 visualizzazioni o 5 visualizzazioni si blocchi. L’aspetto interessante attuato da Matrice Digitale a questo punto è stato quello di spiegare nel dettaglio quelle che sono le opposizioni e le formulazioni fatte alla luce anche dell’esperimento incrociato, sulle sponsorizzate che non sono passate e che confermano un pregiudizio nei confronti dei video pubblicati che ha dimostrato l’esperimento di Matrice Digitale, video ricordiamolo sempre giornalistici.

Matrice Digitale decide di entrare nel merito, segnalando le incongruenze riscontrate, compreso l’esperimento sulle sponsorizzazioni rigettate, che suggeriscono un certo pregiudizio nei confronti dei contenuti giornalistici pubblicati. Una volta approfondite queste osservazioni, l’assistenza risponde via mail ribadendo l’assenza dello shadow ban e raccomandando di rispettare linee guida generiche per migliorare la distribuzione. Ma l’impressione generale è che, dietro un linguaggio standard di rassicurazioni, permanga l’ipotesi sempre più concreta che alcuni video, benché rispettosi delle policy, subiscano limiti algoritmici difficili da giustificare.

Libertà di stampa e algoretica

Ovviamente Google e YouTube fanno quello che vogliono nel nostro paese, ma restano aperti tantissimi interrogativi. In primo luogo, è giusto censurare preventivamente un video a un giornalista professionista anche dopo che questi si è qualificato come tale? E per la libertà di stampa e di espressione, YouTube, che dice di essere da sempre vicino agli editori, continua in questo modo a favorirli, oppure a sostenere solo alcuni di loro, sostituendosi allo Stato anche sul piano dei finanziamenti, un tempo universali e oggi mirati a determinate testate? In questi giorni si discute molto di algoritmi e di “algoretica”, ma sembra che chi se ne occupa, specie nel governo italiano, si trovi in una condizione non proprio coerente nell’affrontare il problema. È inutile parlare di deep fake, fake news e compagnia cantante quando, alla base di tutto, c’è una censura preventiva nei confronti degli editori.

L’Ordine dei Giornalisti, invece, che cosa fa?

Assolutamente nulla. Sono vent’anni che non prende posizione su questo tema, anche perché i piccoli editori, così come i piccoli giornalisti e le piccole cooperative, hanno un peso relativo rispetto agli interessi di chi, negli anni, ha saputo andare d’accordo con le piattaforme social, ottenendo algoritmi favorevoli. Grazie anche ai sistemi di certificazione che l’attuale governo Meloni sta promuovendo, si sta delineando tutto ciò che il giornalismo non dovrebbe essere, soprattutto se vengono censurate notizie vere e affidabili e, al contempo, si propongono contenuti a volte propagandistici, in linea con determinati apparati governativi o sovra-governativi come l’Unione Europea. Ogni utente dovrebbe riflettere sul fatto che, se non si affronta prima il problema dell’algoritmo, ma si definiscono “paletti” che ne minano la credibilità e consentono di censurare preventivamente determinati contenuti, dal punto di vista etico e morale non rispecchiamo certo i canoni di una società democratica e laica, di cui quotidianamente ci vantiamo e nemmeno di un libero mercato visto che a priori è deciso chi può crescere e chi no.

Si può anche come

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