LinkedIn spiega la decomposizione della classe dirigente italiana

da Livio Varriale
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In questi ultimi tempi assistiamo a una grande rivoluzione nel mondo dei social network, legata al funzionamento degli algoritmi, basati su logiche di “premialità” delle notizie e delle informazioni, senza però promuovere contenuti disturbanti o falsi. Alcune piattaforme, come X, hanno aperto i rubinetti della visibilità a quasi ogni tipo di contenuto; altre, come Meta negli Stati Uniti, stanno per fare altrettanto. In Europa, invece, Facebook continua ad affidarsi ai fact-checker, divisi tra soggetti autorevoli e altri meno affidabili, i quali possono decontestualizzare i post o applicare ban alle foto senza tener presente le considerazioni a margine dei post. Ciò dimostra come il mondo della censura sia ancora più stringente nel contesto europeo ed il modello americano in questa fase storica sia notevolmente rischioso per l’antica democrazia dell’Occidente e, nonostante molti utenti stiano prendendo le distanze dai social di Meta per quanto riguarda l’informazione, il settore dell’editoria si trova sempre più in difficoltà perchè schiacciato tra algoritmi ed imposizioni.

Un social network che ora si trova sotto osservazione, ma di cui si parla poco, è LinkedIn. È una piattaforma di proprietà di Microsoft, nata per il business, la vendita B2B/B2C, lo scambio di esperienze professionali e le assunzioni. Attualmente, LinkedIn ha una diffusione relativamente limitata come “luogo di discussione”, sebbene alcune persone affermino di aver realmente trovato lavoro e di essere rimaste soddisfatte a lungo.

LinkedIn: il social dei migliori

Un elemento critico è l’algoritmo di LinkedIn, che sembra premiare solo determinati soggetti. L’autorevolezza lì è spesso connessa a ruoli istituzionali o di alto profilo in aziende Top Level, dunque la qualità dell’informazione è talvolta definita “istituzionale” e non sempre pertinente ai temi lavorativi. Un esempio è la presenza di politici come Giorgia Meloni, molto seguita a livello “politico”, un dato che in parte cozza con l’originale vocazione professionale della piattaforma se consideriamo che pubblica anche contenuti non strettamente collegati alla sua attività di Governo..

Poteri forti e Utenti che hanno paura di esporsi

LinkedIn promuove certe persone non solo in base alla capacità di creare contenuti, ma anche perché rappresentano lobby o affari rilevanti tanto da rappresentare lo specchio. Talvolta vengono diffuse notizie false o decontestualizzate, ma la piattaforma non le contrasta se corrispondono alle sue linee di engagement. Inoltre, l’utente medio di LinkedIn tende a essere cauto nel commentare o interagire, per non ledere possibili opportunità lavorative. Si teme infatti di contraddire aziende o figure potenti che potrebbero influire sulla carriera.

Questo scenario evidenzia l’esistenza di “poteri forti” all’interno della piattaforma, tutelati e promossi da LinkedIn stessa con visibilità maggiore rispetto alla massa, verosimilmente per ragioni di convenienza economica o di immagine. LinkedIn, in passato e non solo, ha anche chiuso profili o censurato contenuti, soprattutto quando erano critici verso partner o investitori rilevanti.

Sul piano pubblicitario, esistono campagne molto costose: un esempio è l’Agenzia Nazionale della Cybersicurezza, che ha investito 100.000 euro in tre anni per promuovere la propria attività (assunzioni, promozione di progetti, ecc.). Se qualcuno critica su LinkedIn tale ente o altri soggetti simili, si rischia di venire penalizzati in termini di visibilità. Ciò indica che, su questa piattaforma, l’immagine di un’azienda o di un ente è una priorità, specie se investe somme consistenti in pubblicità.

La redazione di LinkedIn: copia, incolla e clickbait

Un altro aspetto interessante è il redazionale di LinkedIn, che somiglia a una “cricca” interna (come avviene con Google News). Vengono proposti articoli del giorno o temi di tendenza, ma spesso si tratta di contenuti di qualità discutibile o vere e proprie “marchette” promozionali per testate privilegiate. Inoltre, alcuni soggetti utili a Microsoft Italia (che possiede LinkedIn) godono di particolare visibilità, mentre la piattaforma Bing – integrata nell’ecosistema Microsoft – non riesce a competere con Google nell’oceano della rete.

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La portata delle notizie su Linkedin dimostra l’autoreferenzialità della piattaforma

LinkedIn deve pertanto conservare i pochi investitori che possiede, ed anche i pochi lettori, anche attraverso account premium o campagne mirate. Esiste poi un meccanismo di verifica del profilo, che richiede persino il passaporto all’utente, un fatto legato anche alla promessa di maggiore rilevanza o interazione.

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Contenuti: viralità vince sulla qualità

Un problema è anche la qualità delle informazioni condivise: molti pubblicano semplicemente copia-e-incolla di post apparsi altrove, senza reale competenza in materia. Ne deriva un “mondo del lavoro” su LinkedIn che, nella pratica, risulta costellato di annunci e post autoreferenziali, spesso sponsorizzati dalle istituzioni o dal governo di turno, con scarse possibilità di trovare voci realmente indipendenti, slegate dalla narrazione speculativa del mercato, o innovazioni di valore.

È sempre bene ricordare che un social network non riflette automaticamente la realtà, ma ne fornisce una versione distorta. LinkedIn, per di più, potrebbe apparire meno “autorevole” di quanto sembri, specialmente considerato che in passato si vendeva persino la visibilità (es. pacchetti di like concordati su canali Telegram).

In conclusione, se altrove (come su X) si discute pubblicamente dell’equilibrio fra censura e libertà di espressione, LinkedIn sfugge spesso ai radar, pur presentando dinamiche simili o addirittura più vincolanti. Sembra promuovere un’immagine “istituzionale” del mercato del lavoro, dove contano gli investimenti pubblicitari, la reputazione (soprattutto politica e aziendale) e le relazioni lobbistiche già consolidate più che la reale competenza o la trasparenza informativa.

Rimane quindi il dubbio se LinkedIn voglia davvero favorire un mercato del lavoro aperto e la libera formazione professionale, oppure veicolare un sistema chiuso, basato sugli interessi di grandi entità pubbliche e private conservando ancora quella linea politica in via di dismissione dal mondo occidentale dopo anni di oscurantismo spacciato per cultura e innovazione.

Si può anche come

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