Sommario
Lo scandalo Paragon ci porta dinanzi a diverse riflessioni. In questi giorni abbiamo notato come sia cresciuta la tensione all’interno del governo italiano, in virtù del fatto che anche il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato abbia ingaggiato quella che potremmo definire una “legittima battaglia personale” per ottenere chiarezza sul motivo per cui sia stato intercettato.
L’aspetto curioso di questa vicenda è che ad essere intercettati, secondo quanto riferito da Meta e dal gruppo Citizen Lab (noto per i suoi studi a difesa dei diritti digitali e contro gli spyware di Stato), sarebbero stati in totale dieci italiani. Il tema è molto importante sia dal punto di vista etico che professionale, poiché sorge spontaneo chiedersi come sia possibile che un giornalista sia stato monitorato. Ad oggi, parlando dell’Italia, si conoscono i nomi di due persone: una proveniente dal mondo del giornalismo e una dal mondo dell’attivismo.
Secondo Cancellato, il governo italiano dovrebbe fare chiarezza sull’accaduto. Tuttavia, quest’ultimo non si è fatto trovare impreparato: dopo varie smentite, di cui alcune considerate controverse, ha deciso di porre il segreto di Stato sull’intera vicenda a differenza del caso Al Masri riferito sempre alle questioni libiche. Le più alte cariche dello Stato negano l’utilizzo del software Paragon, mentre aleggia il sospetto che a impiegarlo sia stato, in realtà, un corpo speciale della Polizia Penitenziaria — ipotesi, al momento, priva di conferme ufficiali.
Il nodo centrale è capire chi abbia usato Paragon e, soprattutto, perché si sia ricorsi a uno strumento di spionaggio così invadente per colpire persone che, a rigor di logica, andrebbero tutelate. Questa “narrazione” però presenta diverse incongruenze.
In primo luogo, ricordiamo l’importanza del software Grafite di Paragon: non si tratta semplicemente di un malware, ma di un sofisticato spyware “zero click” che non necessita dell’azione dell’utente per attivarsi. In parole povere, si autoattiva sfruttando principalmente WhatsApp (la nota applicazione di messaggistica del gruppo Meta).
E’ stato il Governo italiano?
Un altro punto che dovrebbe far riflettere è la posizione di Luca Casarini, ritenuto soggetto “strategico” in questa vicenda, forse chiave per comprendere i motivi dell’impiego di Paragon. Casarini è un attivista di Mediterranea, e l’attuale governo italiano è notoriamente avverso al lavoro indipendente delle ONG impegnate in mare. Queste organizzazioni ricevono finanziamenti e sostegno da diversi canali, in parte internazionali, e ciò va in conflitto con le visioni politiche restrittive del governo Meloni in materia di immigrazione. Tutto ciò rafforza il sospetto che possa essere stata proprio un’entità riconducibile alle autorità italiane a spiare i due italiani (giornalista e attivista).
È anche singolare che, oltre a Casarini, tra i dieci intercettati ci sia un attivista libico residente in Svezia, il quale non parla italiano e denuncia da tempo gli accordi tra Libia e Italia. Da qui sorge il dubbio che l’interesse dell’esecutivo si concentri proprio sulle dinamiche migratorie, considerato che questi accordi, spesso controversi, costituiscono un pilastro della politica del governo in carica.
La situazione si complica ulteriormente con l’invocazione del segreto di Stato da parte del governo. Secondo vari esponenti politici, ciò denota un certo “imbarazzo” e la volontà di sottrarsi a qualunque tipo di chiarimento parlamentare. Se venisse confermato che l’esecutivo ha ordinato di spiare chiunque mostri posizioni “ostili” (o anche solo critiche), saremmo dinanzi a un quadro allarmante da paese non democratico e non va sottolineato che Fanpage non solo è una delle testate italiane più in vista, ma editorialmente è schierata con le politiche “woke” e pro immigrazioniste ostiche a Meloni ed ha all’attivo inchieste giornalistiche a carico del partito della Premier. Questo alimenta un altro sospetto in favore della colpevolezza dell’esecutivo.
Cancellato è sotto indagine?
Occorre poi evidenziare che non esiste una regola assoluta che impedisca l’intercettazione dei giornalisti. In questo senso, si potrebbe ipotizzare che il governo italiano potrebbe negare l’evidenza per nascondere un’operazione internazionale di contrasto al traffico di esseri umani, giustificata dalla volontà di bloccare i flussi migratori illegali e i rapporti tra ONG e trafficanti.
Per quanto sembri una ricostruzione complessa, non sono in pochi a sostenere che, laddove si sospetti la presenza di organizzazioni in contatto con i trafficanti, le autorità possono avviare monitoraggi con strumenti molto intrusivi. Rimane però la questione fondamentale dell’equilibrio tra sicurezza nazionale e diritti costituzionali, incluso il rispetto della libertà di stampa e del segreto professionale dei giornalisti.
L’aspetto più controverso della vicenda è il rifiuto di Francesco Cancellato di accettare l’idea che i giornalisti possano essere intercettati qualora fossero sospettati di aver commesso reati. Eppure, la storia è piena di intercettazioni (anche abusive) ai danni del mondo del giornalismo.
Occorre anche riconoscere che non sempre i giornalisti si muovono grazie a rapporti trasparenti con le forze dell’ordine. Esistono diversi casi — vedi il caso Striano o lo scandalo “Equalize” — in cui reporter di testate come “il Domani” o “Report” avrebbero ottenuto informazioni da accessi ritenuti “abusivi” a banche dati riservate. In un contesto del genere, è plausibile che Cancellato possa essere entrato in contatto con fonti già sotto intercettazione per reati molto gravi e che, in un’operazione di “pesca a strascico”, egli stesso sia stato monitorato dalle forze dell’ordine.
Ciò potrebbe portare lo “scandalo Paragon” a sfociare in un avviso di garanzia a carico di Francesco Cancellato oppure, all’opposto, potrebbe venire insabbiato tramite il segreto di Stato se il giornalista non fosse parte attiva dell’indagine, ma soltanto uno “snodo” per raccogliere ulteriori informazioni. In entrambi i casi, sarebbe un fatto gravissimo.
Ancor più grave è che il sindacato dei giornalisti, reduce da diverse uscite sfortunate (si veda il caso Battistini che prima “doveva” restare in Russia e poi “messa sotto scorta in Italia” dopo gli eventi di Kursk e le indagini a suo carico da parte delle autorità russe), sembra ora cercare visibilità sollecitando la magistratura a far luce su una questione comunque coperta dal segreto di Stato.
Secondo svariate sentenze della Cassazione, infatti, quando c’è di mezzo il segreto di Stato, la giustizia ordinaria non può facilmente intervenire.
Perchè Paragon è un rischio per il Governo?
Un altro punto da sottolineare è il modo in cui l’intera vicenda sta (ri)scrivendo la narrazione “complottista”: Corrado Formigli, durante la puntata di “Piazza Pulita” in cui erano presenti Italo Bocchino (per conto del governo) e Francesco Cancellato (soggetto intercettato insieme a Luca Casarini presente anche lui), ha dichiarato che Meta avrebbe già individuato i responsabili delle intercettazioni. Questa rivelazione non stupisce se si considerano le relazioni tra una società come Meta e i servizi d’intelligence di vari Paesi soprattutto quelli americani che hanno imposto una censura globale ammessa dallo stesso Zuckerberg. Non sono mancate pressioni e censure imposte dai servizi segreti su piattaforme social, e resta noto il conflitto tra Meta e il Mossad, soprattutto in relazione all’utilizzo di “Pegasus” — il vecchio spyware ora soppiantato, pare, da Paragon, prodotto da una società israeliana che fa capo a un ex membro della Unit 8200 (reparto cyber militare tra i più avanzati al mondo).
Tale scenario rievoca un tema già trattato da “Matrice Digitale”: quello delle “porte girevoli” tra intelligence pubblica e privata, con l’acquisizione, da parte delle agenzie nazionali o internazionali, di software spia spesso impiegati anche contro attivisti per i diritti umani. Resta da capire se le intercettazioni effettuate con Paragon siano legittime o meno. La vicenda potrebbe celare non solo uno scontro interno ai servizi, ma anche implicazioni molto più ampie. “Matrice Digitale” ha collegato lo scandalo “Graphite” alle dimissioni di Elisabetta Belloni, trovando riscontro persino nelle parole del format di Corrado Formigli, che ha interpellato un hacker “comparso” sulla scia delle indiscrezioni fornite in anticipo da “Matrice Digitale”. Inoltre, se Meta decidesse di svelare ulteriori dettagli, potrebbe concretizzarsi un vero e proprio ricatto politico ai danni del governo italiano, sollevando dubbi sulle influenze straniere e sui meccanismi di affidabilità dei nostri servizi segreti — servizi generalmente considerati di alto livello, ma che in questa circostanza mostrerebbero evidenti vulnerabilità e contraddizioni. L’aspetto ancora più rischioso per Meloni è la presenza di Belloni come consigliera diplomatica di Von der Leyen e di John Elkan, titolare del gruppo Gedi, nel board della stessa Meta.
Etica, morale o semplice attività giudiziaria
Il caso Paragon apre uno scenario delicato: da un lato la necessità di combattere il traffico di esseri umani e l’immigrazione irregolare, dall’altro il rischio di violare i diritti civili e politici di chi, a vario titolo, si trova a operare (o anche solo a raccontare) questioni spinose come la rotta mediterranea. Qualora davvero si fosse proceduto a intercettare giornalisti, attivisti e operatori umanitari, bisognerebbe interrogarsi sul confine tra tutela della sicurezza e rispetto dei principi democratici. Ad oggi, per quel che ne sappiamo, Francesco Cancellato è un cittadino libero di un paese democratico che tutela più di altri paesi occidentali i giornalisti.