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Paul Davison e Rohan Seth: da creatori dell’inclusivo Clubhouse a padrini dell’odio in rete

Tempo di lettura: 4 minuti. Immaginate un social dove potete mettere alla berlina chi vi disturba, ma essere espulsi a causa delle policy utilizzate dagli odiatori. Eccolo qui

Tempo di lettura: 4 minuti.

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Clubhouse è l’app nata sotto la pandemia che riscosso tantissimo successo tra gli addetti ai lavori nel mondo dello spettacolo ed ha aggregato un’intera comunità chiusa in casa a causa delle restrizioni del Covid nel 2020. Appena un anno dopo, tanti artisti si sono allontanati dal social lasciando l’app musicale e di conversazione audio in balia di gruppi e bande armate del peggior squadrismo social. Paradossalmente Clubhouse sia attualmente uno tra i social più liberi rispetto ad altri e che si venda ogni mese con qualche avatar della sua app che richiama all’integrazione sociale e razziale, è sempre più ostaggio e preda di gruppi e bande armate che passano il tempo creando dissidi e problemi ai creatori di contenuti.

Clubhouse, cresce la tensione: “No a liste di proscrizione e pressioni psicologiche”

Aspetti risolti secondo i creatori della piattaforma grazie ad una chiusura delle diverse stanze (room) in sovrastrutture definite Case (houses) dove è stato possibile fare una cernita di coloro che vi sono all’interno con il fine di responsabilizzare i creatori nella moderazione, avvalendosi di amministratori supplementari scelti tra il pubblico.

Cosa succede se invece a sostituire i moderatori ci siano policy ed algoritmi facilmente aggirabili da gruppi di haters e troll?

Se blocchi gli haters, muori segnalato

Un aspetto che resta ancora da chiarire, quello della funzione dei blocchi e delle segnalazioni che trova diversi ostacoli anche nel mezzo di questa tecnologia social: la voce. Il risultato di questa trasformazione digitale composta da diversi aggiornamenti effettuati nel tempo è che consente a gruppi estremisti di natura fascista, ultra estremista e suprematista, non solo di bianchi, bensì anche gli afro discendenti e di portatori degli interessi LGBTQ, di effettuare vere e proprie azioni squadriste nei confronti dei creatori di contenuti che ancora credono nell’app e la utilizzano per consolidare rapporti di amicizia nati sulla piattaforma oramai dimenticata da dio. La comunità italiana ad esempio è composta da massimo 300 utenti attivi, e coloro che frequentano le stanze temono sempre per l’incolumità virtuale dei propri profili perchè a chiunque potrebbe capitare una segnalazione di massa ed essere condannati dalla piattaforma seppur innocenti.

Un meccanismo perverso stoppabile grazie al sistema dei blocchi utile ad emarginare incontri sgradevoli con elementi dediti al compimento di atti in contrasto con le norme del vivere civile, ma la reale sconfitta dei due creatori del social è che in realtà non forniscono un sistema di moderazione utile a salvaguardare le persone perbene da coloro che si divertono ad assumere atteggiamenti provocatori, diffamatori ed allo stesso tempo poco coerenti con il codice di condotta della piattaforma. Anzi, sono proprio loro che utilizzano la piattaforma per portare a termine attività censorie, repressive ed al limite della legge.

In sintesi più si è scostumati, più si viene premiati dal sistema di moderazione della piattaforma e questo rende, come in molti altri casi di altri social, Clubhouse parte degli atteggiamenti “fascisti” volti a censurare il pensiero e la libera espressione degli utenti, con un pizzico di presupposti per ipotizzare veri e propri reati che si consumano su una piattaforma nata per essere inclusiva ed utile ad accorciare le distanze tra le persone con difficoltà fisiche come non vedenti e pazienti di malattie genetiche come uno dei figli dei due fondatori.

Questa penuria di controllo e questo eccesso di abuso con l’utilizzo delle policy e della piattaforma è oramai giustificato e tollerato dagli utenti a causa del taglio di fondi che ha coinvolto nell’ultimo periodo la piattaforma, destinataria di un primo finanziamento che non gli ha consentito di fare il grande salto e che rischia di portare Clubhouse verso un fallimento totale se non verrà acquisita da qualche componente importante del mondo social o del mondo degli hedge funds.

Utenti che subiscono strane pubblicità e la questione privacy

Quello che ad oggi è certo, e che Clubhouse non guadagna assolutamente grazie ad un sistema pubblicitario, anzi, sembrerebbe che i dati trattati dagli utenti vengano disposti al pari di qualsiasi altra piattaforma social e secondo l’indagine del Garante Italiano anche come un modo truffaldino di cessione a terzi dei dati e strane coincidenze che gli utenti ravvisano sulle delle metriche vocali, in base alle conversazioni che si consumano all’interno delle room.

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In poche parole, Clubhouse acquisisce dati vocali delle Room trasformandoli in testi che poi consentono di profilare gli utenti e sulla base dei discorsi molti frequentatori, di quei pochi che sono rimasti, notano che successivamente compaiono pubblicità mirata su altre piattaforme che si riferiscono alle conversazioni avute.

Un sospetto che avviene anche altrove, su cui ovviamente nessuno ci fa più caso visto che oramai rappresenta il tragico epilogo della privacy degli internauti. Quello che però stupisce è che i due creatori siano in realtà persone che hanno generato e partorito un social network con delle buone intenzioni, dovute anche a condizioni familiari di salute critiche, ma che non sono riusciti a migliorare nel tempo rendendolo ostaggio degli stessi valori che hanno provato a combattere come squadrismo, fascismo, razzismo, xenofobia e suprematismo di ogni genere: da quello bianco a quello nero fino ad arrivare a quello arcobaleno.

Un app per disabili o per gli haters?

Eppure sarebbe curioso sapere se il creatore augurerebbe a suo figlio disabile di trascorrere il tempo in un social dove può essere bersagliato, offeso, delegittimato e rischiare di essere anche bannato nel sorriso indifferente dei suoi aguzzini.

Non c’è che dire …. Complimenti.

Di Livio Varriale

Giornalista e scrittore: le sue specializzazioni sono in Politica, Crimine Informatico, Comunicazione Istituzionale, Cultura e Trasformazione digitale. Autore del saggio sul Dark Web e il futuro della società digitale “La prigione dell’umanità” e di “Cultura digitale”. Appassionato di Osint e autore di diverse ricerche pubblicate da testate Nazionali. Attivista contro la pedopornografia online, il suo motto è “Coerenza, Costanza, CoScienza”.

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