Inchieste
Google e ACN finanziano progetti contro la disinformazione con politici e disinformatori
Tempo di lettura: 4 minuti. Due donne qualificate utilizzate per pulire un’operazione politica e pericolosa per la libertà di stampa dei prossimi anni.

L’attività politica dell’Agenzia di Cybersicurezza Nazionale non conosce fine. Uno dei partner ufficiali dell’ente capitanato al professor Baldoni è la multinazionale americana Google. Il progetto, Google.org Impact Challenge: Tech for Social Good, mette a bando la possibilità per organizzazioni no profit e associazioni una somma massima di tre milioni di euro a progetto per implementare servizi utili al contrasto degli attacchi hacker e per debellare la crescente attività di disinformazione. La perplessità su come un Ente di tale portata strategica possa patrocinare le attività di una multinazionale effettivamente riconducibili ad un interesse extra statale dove si utilizza il capitale umano italiano per arricchire centri di ricerca di Google che sono di fatto al servizio del governo statunitense. Ci potrebbe essere anche una visione positiva che mostra una possibilità di valorizzare il capitale umano in un paese che non ha soldi e che gode dei servigi e della disponibilità di uno staff altamente tecnico messo a disposizione dalla più grande multinazionale del web al mondo. Questo dettaglio però non torna del tutto visto che ci sono fondi statali a disposizione di progetti di efficientamento soprattutto dell’informatica pubblica.
Un altro punto che meriterebbe riflessione è quello che, a valutare i progetti, c’è una commissione specchio di commistione tra politica e mondo della ricerca. Ancora una volta, l’agenzia per la Cybersecurity Nazionale presta il volto pulito della vicepresidente Nunzia Ciardi come garanzia tecnica in rappresentanza del Governo Italiano.
Una garanzia oppure un modo per pulire il volto ad un’operazione che non rispecchia appieno le competenze della stessa agenzia che incessantemente stringe accordi con multinazionali straniere?
A comporre la squadra, c’è anche Maria Chiara Carrozza, presidente del Centro Nazionale di Ricerca, altro volto pulito da prestare alla causa, ed il Sottosegretario all’editoria ed all’informazione Alberto Barachini che conferma, ancora una volta in pochi mesi, le false promesse della campagna elettorale del presidente Meloni sul sovranismo digitale e sul distacco del governo dalle multinazionali. Quello che rende più pericolosa l’operazione, è la presenza di Nathalie Tocci, direttore dell’Istituto Affari Internazionali che più volte interpellata come opinionista sul conflitto ucraino, è anche editorialista per La Stampa, ha fornito spesso analisi con una forte connotazione propagandistica in favore dell’invio di armi, previsioni di natura economica e bellica con un forte connotazione russofoba, che ad oggi non si sono avverate.
In poche parole, se si parla di disinformazione perché scegliere il nome della politicizzata Tocci, presente anche nel Consiglio di Amministrazione dell’ENI in quota Partito Democratico, che vizia alla base quella che è in realtà rappresenta la mission del progetto?
Proprio in questi giorni scricchiola uno degli emblemi di disinformazione di massa messi in piedi dal binomio governo euroatlantista, social media e piattaforme editoriali sull’origine del Covid. Questa iniziativa, preoccupa, ancora una volta, a causa della corsa all’armamento nel campo del contrasto alla disinformazione da parte del Governo Italiano, che sposa in pieno un metodo, un approccio scientifico ed una linea che non sempre ha fornito la verità o strumenti bipartizan per consentire ai suoi cittadini una valutazione oggettiva. Ed il posizionamento dell’opinione pubblica sul conflitto ucraino, dimostra non solo il fallimento delle attività di propaganda messe in piedi anche da docenti o professionisti come la Tocci, ma è causa della grande diffidenza verso i canali ufficiali di Internet proprio per l’impossibilità di trovare dei riscontri oggettivi spesso in notizie che sono state diffuse sotto forma di proclami ed annunciazioni.
Questa attività messa in piedi su più fronti, con il bene placido dell’Unione Europea, va contestualizzata anche in un momento storico dove non si va ad armare la verità, bensì a restringere il campo alla libertà di espressione e di opinione, congiuntamente a quella giornalistica, e lo si fa attraverso delle sovrastrutture internazionali che lavorano in stretto contatto con Enti Governativi spesso capitanati, o composti, da consulenti che provengono dal mondo privato come quello delle piattaforme social network e di intelligence straniera.
L’Italia dimostra ancora una volta di non essere in grado di avere una classe politica e nemmeno una classe dirigenziale che rivendichi quello che Meloni ha definito “il piano Mattei” nel settore dell’energia e che invece può essere definito in ambito tecnologico come “piano Olivetti”: dove si tutela l’indipendenza del contesto aziendale italiano, le sue eccellenze, consentendo al paese ed al suo perimetro cibernetico reale e non immaginato da filo atlantisti o filo europeisti, di formarsi autonomamente per poi confluire in uno spazio più ampio e più globale. Che Google sia stata influente nel garantirsi un appoggio governativo di tutto rispetto per i suoi progetti non solo è un dato di fatto, ma l’ennesima operazione lobbistica di un paese sempre più svenduto alle multinazionali che pian piano si stanno appropriando anche del perimetro cibernetico: il simbolo della sfida e del “bene” pubblico da preservare e potenziare nei prossimi anni.
Vien da fare anche una battuta su come l’Agenzia sia stata poco credibile in questi mesi nella sua comunicazione con gravi errori di disinformazione del pubblico. Il caso più eclatante è stato quando ha diffuso un allarme attacco hacker su scala nazionale generando panico attraverso i media più prestigiosi per poi scoprire che il numero di server coinvolti era di 19. Viene da pensare che la lotta alla disinformazione con una multinazionale americana che decide chi deve essere visibile in rete, un’esperta nota per le sue posizioni estremiste, il sottosegretario all’editoria (quota Forza Italia precisiamolo) sia il pretesto per oscurare chi evidenzia le lacune di oggettività che le fonti istituzionali forniscono con attività giornalistiche dei vecchi tempi.
Così come per la Ferragni, che ha dichiarato di rinunciare al suo cachet sanremese, quando poi si è scoperto successivamente i benefit avuti dalla sua discutibile partecipazione al festival musicale, l’Agenzia Nazionale per la Cybersicurezza ha dichiarato che ogni frutto derivato da questa attività sarà munito di licenza Open Source. Chi avrà i maggiori mezzi per poter sfruttare al meglio questa tipologia di codice distribuito per il bene pubblico, saranno i grandi gruppi industriali nel campo della sicurezza informatica e le organizzazioni che da anni provano, sotto mentite spoglie nemici della disinformazione, ad applicare quello che effettivamente si sta dimostrando un regime di informazioni pilotate al servizio di questi tempi orrendi dove si respira sempre più un’aria di guerra.
Inchieste
Meta vuole sottopagare la Musica italiana, ma va difesa perchè la SIAE è il male
Tempo di lettura: 3 minuti. Il paradosso italiano: firmare i contratti perchè c’è chi paga poco, ma paga. Anche se sottopaga pur avendo bisogno degli artisti del Bel Paese

La scomparsa della musica italiana da Instagram e Facebook ha causato grande sconcerto tra gli utenti. Questo è avvenuto a seguito del mancato accordo tra il colosso dei social media, Meta, e la SIAE, l’ente che tutela i diritti d’autore degli artisti italiani. La licenza per l’utilizzo delle canzoni italiane è scaduta a gennaio, e Meta ha cercato di negoziare senza concedere alcun margine di compromesso, chiedendo sostanzialmente alla SIAE di accettare le loro condizioni senza garanzie.
Il governo italiano ha cercato di intervenire nella disputa, ma finora non è stata raggiunta alcuna soluzione concreta. Nel frattempo, gli utenti italiani sono impossibilitati dall’utilizzare la musica italiana nelle loro storie e reel su Instagram e Facebook. Questa situazione potrebbe indurre molti a passare al concorrente cinese TikTok, che ha già guadagnato una quota significativa del mercato nel 2022.
L’industria musicale italiana è gravemente danneggiata da questa situazione, in quanto il mercato digitale rappresenta l’83% dei suoi ricavi. Gli utenti italiani si trovano ora senza la possibilità di condividere la colonna sonora delle loro vite attraverso i social media, e ciò potrebbe portare a un calo dell’interesse per la musica italiana sia a livello nazionale che internazionale.
In sintesi, il mancato accordo tra Meta e SIAE ha creato una situazione difficile per l’industria musicale italiana e per gli utenti dei social media nel paese. Se non verrà raggiunta una soluzione, il settore musicale italiano e la sua presenza sulle piattaforme digitali potrebbero risentirne notevolmente, con possibili ripercussioni negative sulla promozione e la diffusione della musica italiana nel mondo.
Fino a qui, la ragione sembra trovarsi dalla parte della piattaforma statunitense che “offre” una opportunità di visibilità per quegli artisti che non hanno successo e nemmeno i soldi per promuoversi. La domanda è però un’altra: il patrimonio artistico culturale del nostro paese è più importante di una piattaforma commerciale statunitense?
La verità da parte di SIAE, che rappresenta molti artisti locali ma non tutti, è che l’offerta economica del social era stata già decisa a tavolino e non aveva margini di trattativa ulteriori. Il muro contro muro è una strategia che fa comprendere alla piattaforma come sarebbe il social senza la musica italiana.
Premesso che gli effetti sono visibili solo ed esclusivamente su testi italiani, su cantanti che appartengono a SoundReef, un’alternativa per gli artisti alla SIAE, o altre etichette e che questo giochi a sfavore non solo dei “deboli”, ma anche a grossi nome come la Pausini, c’è però da fare una considerazione sul perchè Soundreef sia migliore di Siae: solo perchè è presente su Facebook?
Contenuti senza musica o senza musica il nulla politico?
C’è poi il dettaglio dei contenuti: Facebook nasce come social di “foto” e “testo”, la musica è arrivata dopo con i video, ma è chiaro senza la musica, i contenuti della piattaforma perderebbero molto in termini di valore, qualità e gradimento. Questo dovrebbe far riflettere quante più persone sull’abbandonare la piattaforma senza maledire la SIAE che invece sta rappresentando un intero settore “sottopagato” come da anni avviene nel mondo della globalizzazione, diventata gigaeconomy, e che sta facendo emergere la vera realtà di un social che ospitava pensieri profondi ed idee politiche per essere diventato poi il modello perfetto di censura, controllo e manipolazione del pensiero occidentale.
Stesso discorso per Instagram, dove alle foto hanno fatto spazio video per lo più televendite di profili pornografici di Onlyfans, ma “Meta non era contro il porno?”, che avvicinano minori a profili a luci rosse e foto dove la musica non è richiesta per forza. Chi ha interesse affinché la SIAE svenda la musica al dandy americano? Solo chi non comprende che i social vivono di contenuti e dell’intelletto altrui ed è per questo che TikTok, paga tutti i creator a differenza di Facebook che ha una lista di influencer favoriti decisi anche dalla politica globalista e regole di ingaggio poco chiare e spesso rivelatesi scorrete per il mercato.
Azienda, piattaforma social o comitato d’affari?
Perchè il Governo dovrebbe intervenire? Per favorire gli americani di Zuckerberg a discapito dei cinesi per via di TikTok e della sciurezza del nostro paese?
E perchè non invece essere più sodale con YouTube che oramai, insieme a Spotify, è il metro preferito dall’industria musicale globale?
Sarebbe forse il caso di iniziare a valutare realtà come Meta per quello che sono, aziende presenti sul mercato che non hanno nè più nè meno di diverso rispetto alle altre e proprio per questo non meritano attenzioni particolari e possono tranquillamente gestirsi da sole senza troppi aiuti di figure governative comprensivi, fin troppo, forse al limite della connivenza.
Inchieste
Killnet assalta gli ospedali e Phoenix colpisce missione EOSDIS della NASA
Tempo di lettura: 4 minuti. Hanno monitorato tutti gli attacchi dal 18 novembre 2022 al 17 febbraio 2023, osservando un aumento da 10-20 attacchi giornalieri a novembre a 40-60 attacchi ogni giorno a febbraio

Killnet è tornato ed ha hackerato la NASA dopo un periodo di silenzio a causa del grande successo avuto dei cugini di NoName057. Il collettivo di hacktivisti russi ha pubblicato dettagli e dati sulla missione spaziale della NASA prevista sul satellite della terra.
🤴 Il gruppo di hacker russi PHOENIX si assume la piena responsabilità di aver violato alcuni dei vostri sistemi.
Lo dico in modalità 🔴 in quanto ho fiducia in me stesso e nei vostri professionisti IT.
✔️На al momento abbiamo accesso a (i dati saranno aggiornati):
⚡️Данные dai satelliti della missione MMS
⚡️Учетные record degli utenti/specialisti di EOSDIS
⚡️Нескольо terabyte di dati di ricerca, schemi di veicoli spaziali, rapporti e documenti aziendali
⚡️SOON…

Nonostante Killnet si sia da sempre contraddistinta per gli attacchi di DDoS, questa volta invece ha giocato un ruolo diverso dal solito entrando nei server della NASA: l’ente di aviazione spaziale americana famosissima anche per i suoi sistemi di sicurezza informatici avanzati e a prova di intrusioni non solo di hacker bensì anche militari da parte di altri paesi. Un’attività a questa che dovrà essere smentita dall’ente statunitense oppure confermata, ma attualmente sono stati pubblicati i dati con relative password delle persone impegnate nel progetto e quindi si può affermare che danno permanente è stato fatto salvo smentite sulal qualità dei contenuti
Cosa è la missione EOSDIS?
EOSDIS, acronimo di Earth Observing System Data and Information System, è un sistema gestito dalla NASA per raccogliere, archiviare e distribuire i dati provenienti dai satelliti di osservazione terrestre e dalle missioni scientifiche aeree. L’obiettivo principale di EOSDIS è fornire un accesso semplice e veloce a una vasta gamma di dati e informazioni relative all’ambiente terrestre, all’atmosfera, all’oceano e alle aree glaciali e polari.

EOSDIS fa parte del programma Earth Science Data Systems (ESDS) della NASA e utilizza diversi centri di elaborazione e distribuzione dei dati, chiamati Distributed Active Archive Centers (DAACs), per archiviare e distribuire i dati a ricercatori, scienziati e altre parti interessate in tutto il mondo.
Tra i principali servizi offerti da EOSDIS vi sono la possibilità di cercare e scaricare dati e immagini, visualizzare mappe e grafici e accedere a strumenti di analisi per comprendere meglio le tendenze e i fenomeni legati all’ambiente terrestre e ai cambiamenti climatici.
L’allarme dagli USA: Killnet colpisce gli ospedali
Questa settimana, i ricercatori nel campo della cybersecurity hanno osservato che il gruppo di hacker pro-Russia noto come Killnet sta intensificando gli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service) contro le organizzazioni sanitarie a partire dal novembre scorso.
Killnet è stato creato in seguito all’invasione della Russia in Ucraina nel febbraio 2022 e ha trascorso gran parte dell’ultimo anno lanciando attacchi DDoS contro governi e aziende di tutto il mondo. Sebbene gli attacchi siano per lo più un fastidio – mettendo offline i siti web per circa un’ora nella maggior parte dei casi – hanno suscitato preoccupazione all’interno del governo degli Stati Uniti, in particolare quando vengono lanciati contro infrastrutture critiche come aeroporti e ospedali.
Nei mesi recenti, il gruppo ha concentrato la sua attenzione sui siti web delle organizzazioni sanitarie, lanciando una campagna a febbraio che ha preso di mira ospedali in oltre 25 stati. La Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA) ha affermato che meno della metà di questi attacchi – che prevedevano l’invio di un’enorme quantità di richieste di pagina ai siti web presi di mira – ha avuto successo nel mettere offline i siti.
Venerdì, i membri del Microsoft Azure Network Security Team, Amir Dahan e Syed Pasha, hanno pubblicato un’analisi degli attacchi DDoS alle organizzazioni sanitarie utilizzando i loro strumenti di sicurezza.
“Le tipologie di organizzazioni sanitarie attaccate comprendevano il settore farmaceutico e delle scienze della vita con il 31% di tutti gli attacchi, gli ospedali con il 26%, le assicurazioni sanitarie con il 16% e i servizi e le cure sanitarie anch’esse con il 16%”, hanno dichiarato. Killnet ha solitamente provato due metodi diversi: creare molte connessioni diverse e cercare di mantenerle attive il più a lungo possibile per rendere inutilizzabile un sito web, oppure stabilire quante più nuove connessioni possibili in un breve lasso di tempo per esaurire le risorse.
“Killnet e i suoi avversari affiliati utilizzano gli attacchi DDoS come tattica più comune. Utilizzando script DDoS e stressor, reclutando botnet e utilizzando fonti di attacco contraffatte, KillNet può facilmente interrompere la presenza online di siti web e app”, hanno affermato i ricercatori. Servizi di protezione DDoS come Cloudflare hanno segnalato tendenze simili. Akamai, un’altra azienda che offre strumenti simili, ha pubblicato un rapporto il mese scorso che evidenziava un aumento significativo degli incidenti DDoS in Europa nel 2022, con un numero crescente di campagne che ora coinvolgono tattiche di estorsione. L’azienda ha anche avvertito che gli attacchi DDoS vengono ora sempre più utilizzati come copertura per vere e proprie intrusioni che coinvolgono ransomware e furto di dati.
Omer Yoachimik di Cloudflare ha riferito a The Record che la loro ricerca sulla campagna DDoS di Killnet nel settore sanitario indica che gli attacchi venivano “crowdsourced”, ovvero gli operatori di Killnet si rivolgevano ad altri gruppi e individui che utilizzano più botnet o metodi di attacco diversi. Anche la CISA ha dichiarato a The Record che gli incidenti DDoS sono diventati una questione prioritaria per l’agenzia, poiché cercano di proteggere le infrastrutture critiche.
“Il nostro personale regionale sta lavorando a stretto contatto con i nostri partner sul territorio e incoraggiamo tutte le organizzazioni, compresi gli enti statali e locali, a rimanere vigili e ad adottare misure per proteggersi”, ha detto il portavoce, facendo riferimento a una guida pubblicata insieme all’FBI a ottobre su come le organizzazioni possono ridurre la probabilità e l’impatto degli attacchi DDoS. Il portavoce ha aggiunto che per gran parte dell’ultimo anno, la CISA ha aiutato le organizzazioni a mitigare gli attacchi DDoS, in particolare quelli lanciati da Killnet. L’agenzia ha anche collaborato con diverse aziende tecnologiche per fornire risorse gratuite alle organizzazioni con finanziamenti limitati, al fine di aiutarle a ridurre l’impatto degli attacchi DDoS.
Inchieste
ACN finalista su LinkedIn: spegnetegli i social

“A pensar male ci si azzecca” diceva qualcuno di molto importante nella storia del nostro Paese.
L’Agenzia della Cybersicurezza Nazionale ha venduto sui social un grande successo che in realtà ha confermato una grande parte delle critiche mosse al suo ufficio di comunicazione da molti esperti informatici del Paese. Molta fuffa, molta politica, tantissima comunicazione e grande autoreferenzialità all’interno dei social network, ma pochissima sostanza.
Durante un periodo in cui l’ente è finito in un turbine di polemiche in seguito ad attacchi informatici da ogni dove, tra l’altro che hanno interessato più volte gli stessi obiettivi, c’è chi sui social ha pensato di vendersi l’essere rientrata tra i finalisti in un contest organizzato da LinkedIn.
Sì, proprio quella piattaforma utilizzata dall’Agenzia per una comunicazione “uno a molti” dove dipendenti dello Stato hanno più volte dato patenti di ignoranza ad esperti informatici che hanno dimostrato di aver svolto il ruolo delle “cassandre” e li ha offesi o addirittura minacciati via mail quando è stato segnalato un bug al CSIRT. LinkedIn, di proprietà della Microsoft che ha stipulato con l’ex direttore Baldoni un accordo per formare 100.000 esperti informatici nei prossimi anni a botte di certificazioni Microsoft, ha inserito tra i finalisti l’ACN per aver speso speso più tempo sul social network a dirsi di essere “bella e brava” ed “innovativa” senza però risolvere concretamente i problemi del paese per i quali è stata costituita.
Speriamo vinca il premio finale, altrimenti oltre ad aver messo in cattiva luce le proprie capacità pratiche, la beffa di non portare a casa la “mucca Carolina” sarebbe il colpo finale ad un’attività di comunicazione per un ente totalmente tecnico che dovrebbe spegnere i social ed occuparsi della sicurezza cibernetica in Italia.
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