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Mentana in difficoltà risponde a Puglisi su Fabbri: non so se ha la laurea. L’analisi

Tempo di lettura: 5 minuti. COntinua la querelle social, il direttore del Tg La7 difende Fabbri, ma dimentica che le persone non sono tutte scienziate o addirittura fesse

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Continua la querelle tra Riccardo Puglisi e Dario Fabbri e questa volta arriva a risposta da uno dei principali deus ex machina dei fact-checkers italiani Enrico Mentana con cui lo stesso analista geopolitico ha collaborato nelle sue trasmissioni televisive. La lettera inviata dal direttore del Tg de La7 al professore universitario è stata pubblicata dal profilo social del belligerante Puglisi, autorizzato a pubblicarla dallo stesso giornalista di lungo corso.

La lettera di Mentana

Gentile professore, apprendo solo ora che nei giorni scorsi mi ha lanciato una serie di domande riguardanti Dario Fabbri e il suo titolo di studio attraverso X, fu Twitter. Io però ho lasciato da ormai dieci anni quel social network, e non me ne sono mai pentito. Mi è stata descritta la sua campagna, che non discuto ma certo non è fatta per appassionarmi: io, come saprà, a suo tempo non mi sono laureato. Interruppi l’università alla fine del 1979, quando il direttore del tg1, Emilio Rossi, mi fece sapere che mi avrebbe assunto come praticante. Anche di questo non mi sono mai pentito. Da 32 anni svolgo a mia volta il ruolo di direttore responsabile, dapprima nel nascente tg5 e poi nel tgla7. Non spetta certo a me giudicare se i due diversi editori abbiano fatto bene ad affidarmi la nascita del primo e il rilancio del secondo, nonostante l’assenza di un diploma di laurea. So però che ho avuto anche la fortuna di assumere molti giovani, poi affermatisi nella professione. Potrà verificare che a nessuno di loro ho mai chiesto né per chi votassero né se fossero laureati. Così anche è stato – per venire alla sua “magnifica ossessione” – con Dario Fabbri, che ho conosciuto il giorno dell’invasione russa dell’Ucraina: non mi sono mai chiesto, né ho chiesto a lui, per chi votasse e se fosse laureato. E mai fino a oggi mi sono posto il problema, che per me non rileva: senza fare improponibili paragoni, il più grande divulgatore scientifico italiano, e primo animatore del debunking antibufale, Piero Angela, non era laureato. E il figlio Alberto, nel raccoglierne il testimone, ha scelto nella squadra del suo programma proprio Fabbri per il settore geopolitico. Durante le dirette sulla guerra – cento giorni di appuntamenti quotidiani, con una linea informativa in cui mai si è perso di vista l’elemento basilare che in quel conflitto ci sono un aggressore e un aggredito – non mi sono peraltro mai rivolto a Fabbri chiamandolo “dottore”. Del resto non ho mai chiamato così nessun’altra delle figure con cui ho dialogato in questi decenni di programmi d’informazione. A Fabbri non ho chiesto per chi votasse o che cursus di studi avesse neanche quando gli ho proposto l’avventura di Domino, e nemmeno ho verificato se fosse iscritto all’ordine dei giornalisti. Da quando è nata la rivista di geopolitica, per un’ovvia misura di buon gusto, non l’ho più avuto ospite nel tg e nei programmi di cui sono conduttore, così come non ho più invitato Franco Bechis da quando ha accettato di dirigere Open. Ricordo peraltro che editrice di Open è una società senza scopo di lucro, di cui sono fondatore e finanziatore unico. Sono orgoglioso di aver conferito in Open a fondo perduto oltre 500mila euro di capitale per sostenere l’obiettivo di creare giovani giornalisti, con contratti a tempo indeterminato. In questi anni 20 di loro sono già diventati professionisti. Sperando di aver soddisfatto le curiosità sue e dei suoi interlocutori social, cosi come mi sono state sommariamente riassunte, la invito in caso di nuove impellenti ed epocali domande di questo tipo a scrivermi o a telefonarmi direttamente, come fanno tutte le persone per bene, quale che sia il loro titolo di studio. Buon lavoro

Analisi della lettera di Mentana

Questa lettera sembra essere una risposta a una serie di domande o critiche rivolte all’autore riguardo a Dario Fabbri e il suo titolo di studio. Ecco un’analisi tecnica della lettera, suddivisa in diverse sezioni:

Struttura e stile

Introduzione e contestualizzazione

l’autore inizia con un tono cortese, ma chiaramente distaccato, indicando che ha appreso delle domande solo recentemente e attraverso terze parti e per di più su un social che non apprezza da cui si è allontanato, ma sanno tutti che in realtà si è dovuto defilare perché pieno di contestatori.

Narrativa personale

L’autore prosegue con una narrazione personale, delineando il suo percorso professionale e le scelte che ha fatto, sottolineando che non si è mai pentito delle decisioni prese sul non laurearsi e difende le sue scelte professionali, sottolineando che ha avuto successo nel suo campo nonostante l’assenza di un titolo di laurea.

Risposta specifica alla domanda

L’autore affronta direttamente la domanda riguardante Dario Fabbri, sottolineando che non ha mai considerato il titolo di studio come un fattore determinante nella scelta dei collaboratori e quindi non sa se Fabbri sia laureato seppur non lo abbia dichiarato esplicitamente.

Esempi di altri professionisti di successo senza laurea

L’autore cita esempi di altri professionisti di successo che non hanno un titolo di laurea, per rafforzare il suo punto di vista e anzi li inserisce nel discorso per avvalorare le qualità di Dario Fabbri.

Chiusura e invito al dialogo diretto

Nella conclusione, l’autore invita il destinatario a contattarlo direttamente per future domande, suggerendo che ciò sarebbe più appropriato e rispettoso. Il passaggio finale sull’essere o meno persone per bene è una stoccata al Prof. Puglisi che secondo il proprietario di Open ha sbagliato a mettere in piazza la questione laurea di Fabbri.

Tecniche retoriche

Ethos

L’autore fa appello alla sua lunga carriera e esperienza nel campo del giornalismo per stabilire la sua credibilità.

Logos

L’autore utilizza esempi concreti e fatti specifici per sostenere il suo punto di vista, sottolineando che il titolo di studio non è un prerequisito per il successo nel suo campo.

Pathos

l’autore utilizza un tono che oscilla tra la cortesia formale e una certa indignazione, cercando di suscitare empatia nel lettore e sottolineando l’ingiustizia delle critiche rivolte a lui e a Fabbri.

Analisi linguistica

Linguaggio formale

L’autore utilizza un linguaggio formale e cortese, mantenendo un tono professionale durante tutta la lettera.

Frasi lunghe e complesse

La lettera contiene frasi lunghe e complesse, che servono a costruire un argomento dettagliato e ben articolato proprio per portare la discussione fuori dal problema principale.

Uso di aneddoti personali

L’autore utilizza aneddoti personali per illustrare il suo punto di vista, cercando di creare una connessione personale con il lettore che non è il prof. Puglisi, bensì il pubblico che dovrà giudicare e si fa leva sulla propria carriera ed immagine a garanzia di Fabbri.

L’analisi della scuola della “Vita” e della “Strada”.

La lettera è una risposta ben articolata e difensiva alle domande o critiche rivolte all’autore. Attraverso l’uso di tecniche retoriche e uno stile formale e riflessivo, l’autore cerca di sminuire l’importanza delle critiche e di stabilire la sua posizione come una figura rispettabile e competente nel suo campo a garanzia di una risposta che resta evasa. Quello che resta è il fatto che il non sapere se un proprio collega, dipendente o consulente sia laureato, è motivo in realtà di difendere un punto debole del discorso proprio perché si continua a non rispondere alla domanda.

“non so se è laureato, ma è bravo e lavora con gli Angela che sono i migliori divulgatori italiani e collabora con la realtà giornalistica migliore per affidabilità di informazione”

Un messaggio ingiusto sia nei confronti di Fabbri che, nel caso non abbia la laurea, nemmeno un concorso in RAI per diventare giornalista protrebbe fare e quindi scatta la molla populista del classico “a chi appartiene per lavorare con gli Angela in tempi dove anche per fare lo spazzino devi essere laureato?

Un altro messaggio ingiusto è riservato invece a tutti i giovani a cui vien detto che la laurea è la conditio sine qua non per poter accedere a determinati lavori. Chiunque quindi potrebbe fare successo nel mondo del lavoro senza una laurea, compreso chi non hanno amici o parenti che possono sponsorizzarli. Mentana sa bene che anche le aziende private chiedono una laurea come minimum ai colloqui di lavoro.

Conclusioni

Mentana ha aperto al dialogo privato con il prof. Puglisi, ma ha ammesso di essere in difficoltà nel sostenere che Fabbri non sia laureato con una tecnica di benaltrismo molto autoreferenziale. In fondo cosa poteva fare di più? Non spetta a lui dire la verità su uno dei suoi pupilli, ma c’è una cosa che però resta e torna sulla base delle polemiche oramai in piedi da tempo: la compagna lavora in RAI perchè è brava, Dario Fabbri pure e Open fa fact-checking su commissione.

Guai a farlo sui collaboratori di Open.

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Otto creator TikTok fanno causa contro ban USA: paura in Canada

Tempo di lettura: 3 minuti. Otto creator di TikTok fanno causa contro la legge statunitense “divest-or-ban”, sostenendo che viola il Primo Emendamento e minaccia la libertà di espressione.

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TikTok app store
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Otto creator di TikTok hanno intentato una causa contro la legge statunitense “divest-or-ban”, sostenendo che la legge viola il Primo Emendamento. Questa legge, che richiede a TikTok di separarsi dalla sua società madre cinese ByteDance o di essere bandita negli Stati Uniti, ha sollevato preoccupazioni sulla libertà di espressione e l’accesso alle piattaforme di social media.

Argomenti della causa

La causa dei creator si basa su argomenti simili a quelli presentati dalla stessa TikTok in una causa separata. Entrambe le cause sostengono che le preoccupazioni dei legislatori riguardo l’app siano speculative e ricordano che i tribunali hanno già bloccato altri tentativi di vietare TikTok, inclusi un ordine esecutivo dell’ex presidente Donald Trump e una legge statale del Montana.

Impatti sulla libertà di espressione

I creator, tra cui il rancher Brian Firebaugh, la recensitrice di libri Talia Cadet e l’allenatore di football universitario Timothy Martin, affermano che TikTok è unico come mezzo di espressione, con caratteristiche distintive come l’algoritmo di raccomandazione, la funzione green screen e la capacità di fare duetti. Questi elementi, secondo la causa, conferiscono a TikTok una cultura e un’identità distintive che non sono replicabili su altre piattaforme.

Preoccupazioni per il cambio di proprietà

I creator sostengono che il cambio di proprietà potrebbe alterare drasticamente l’esperienza di TikTok, analogamente a come l’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk ha modificato quella piattaforma. La loro preoccupazione principale è mantenere le pratiche editoriali attuali di TikTok, che considerano essenziali per la loro capacità di creare e accedere a contenuti espressivi.

Richiesta alla corte

La causa è stata presentata alla Corte d’Appello federale di Washington, DC, che ha giurisdizione esclusiva sulle sfide alla legge di disinvestimento forzato. I creator chiedono alla corte di dichiarare incostituzionale la legge e di impedirne l’applicazione.

Implicazioni future

Questa causa rappresenta un passo significativo nella lotta per la libertà di espressione sulle piattaforme di social media e potrebbe avere implicazioni di vasta portata per l’industria tecnologica e i diritti dei creator digitali.

L’agenzia di intelligence canadese contro TikTok: dati a rischio

Il direttore dell’intelligence canadese, David Vigneault, ha lanciato un severo avvertimento contro l’uso di TikTok, affermando che l’app rappresenta un “rischio” per i dati di adulti e adolescenti. Vigneault ha dichiarato che la Cina utilizza “analisi di big data” e server di elaborazione per raccogliere informazioni, sollevando preoccupazioni sulla sicurezza dei dati personali.

Dichiarazioni di vigneault

Durante un’intervista con la CBC, Vigneault ha affermato: “Come individuo, direi che non consiglierei assolutamente a nessuno di avere TikTok”. Ha aggiunto che la Cina ha una strategia molto chiara per utilizzare TikTok per ottenere dati da persone in tutto il mondo. L’uso di analisi di big data e computer farm per elaborare e raccogliere dati è stato indicato come il principale motivo di preoccupazione.

Preoccupazioni sulla privacy

Vigneault ha sottolineato che TikTok è particolarmente rischioso per gli adulti e gli adolescenti in Canada. Le preoccupazioni riguardano il modo in cui la Cina potrebbe utilizzare i dati degli utenti catturati in Canada e in altri paesi per creare intelligenza artificiale. Questo potrebbe includere dati personali raccolti da adolescenti che potrebbero essere utilizzati in futuro.

Critiche alla raccolta dei dati

Sami Khoury, capo del Centro Canadese per la Sicurezza Informatica della Comunicazione, ha anche espresso preoccupazioni l’anno scorso, chiedendo perché un’applicazione dovrebbe avere accesso all’elenco dei contatti, al calendario, alle email e ai record telefonici degli utenti. Khoury ha sollevato il problema dell’aggregazione dei dati, temendo che la Cina possa confrontare gli elenchi di contatti di due utenti per vedere dove si sovrappongono.

Situazione negli Stati Uniti

Negli Stati Uniti, il governo ha approvato una legge che costringe ByteDance, la società madre di TikTok, a vendere l’app o affrontare un divieto. Questa mossa ha portato TikTok a intentare una causa, sostenendo che il divieto proposto è “incostituzionale”. Il CEO di TikTok, Shou Chew, ha affermato che l’app non andrà da nessuna parte e che TikTok ha costruito salvaguardie che nessun’altra azienda ha fatto. Tuttavia, il futuro di TikTok negli Stati Uniti rimane incerto. Le preoccupazioni sulla sicurezza dei dati di TikTok continuano a crescere, con le autorità canadesi che avvertono gli utenti di essere cauti nell’utilizzo dell’app. Mentre TikTok affronta una pressione crescente negli Stati Uniti per separarsi dalla sua società madre cinese, il dibattito sulla privacy e la sicurezza dei dati è destinato a continuare.

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BlockOut 2024: blocco delle celebrità per supportare la Palestina

Tempo di lettura: 2 minuti. Gli utenti dei social media lanciano “Blockout 2024”, una campagna per bloccare celebrità e influencer per supportare la Palestina.

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Negli ultimi sette mesi, il conflitto in Gaza ha intensificato l’attività degli utenti dei social media, che cercano di sensibilizzare e sostenere la popolazione palestinese. In questo contesto, è emersa una campagna chiamata “Blockout 2024”, che mira a bloccare celebrità e influencer su piattaforme come TikTok e Instagram per ridurre la loro visibilità e i guadagni derivanti da contenuti sponsorizzati.

La campagna “Blockout 2024”

L’iniziativa “Blockout 2024” è partita da un video su TikTok in cui un utente proponeva di bloccare celebrità in risposta alla percepita indifferenza di queste figure verso il conflitto in Palestina. La campagna è cresciuta rapidamente, con migliaia di post su TikTok e Instagram che utilizzano l’hashtag #blockout per promuovere il blocco delle celebrità. Celebrità come Kim Kardashian, Tom Brady, Beyoncé, Taylor Swift e Selena Gomez sono state frequentemente citate nelle “block lists” che circolano online. L’obiettivo della campagna è quello di limitare l’influenza e il guadagno di queste celebrità, che molti utenti percepiscono come insensibili alle sofferenze dei palestinesi. Già abbiamo visto come i food blogger, censurati dalle piattaforme, hanno promosso la cultura palestinese con le loro ricette.

Reazioni e supporto

La campagna ha suscitato diverse reazioni, con alcuni utenti dei social media che vedono il blocco delle celebrità come un modo efficace per esprimere il loro sostegno alla Palestina e per sensibilizzare l’opinione pubblica. Oltre al blocco delle celebrità, gli utenti stanno esercitando pressione affinché queste figure influenti promuovano sforzi di aiuto diretto come Operation Olive Branch, un’iniziativa per raccogliere fondi destinati alle famiglie palestinesi. Alcuni artisti e creatori, tra cui Lizzo e Hank Green, hanno pubblicamente supportato tali organizzazioni, rispondendo alle richieste degli utenti di social media di utilizzare la loro influenza per una causa umanitaria.

Sfide e impatto

L’attivismo sui social media può essere effimero, con l’interesse degli utenti che tende a diminuire e la portata dei movimenti limitata dagli algoritmi delle piattaforme. Tuttavia, “Blockout 2024” rappresenta una risposta significativa alla frustrazione e all’urgente bisogno di sostegno per la Palestina. La campagna dimostra come i social media possano essere utilizzati non solo per la condivisione di contenuti personali, ma anche come piattaforma per il cambiamento sociale e la mobilitazione collettiva.

Coincidenza con altre forme di attivismo

Il “Blockout 2024” si inserisce in un contesto più ampio di attivismo sui social media, dove le piattaforme digitali sono diventate un battleground per influenzare l’opinione pubblica e promuovere cause sociali. Durante la crisi di Gaza, Instagram e TikTok sono stati inondati di infografiche, immagini e video che documentano la violenza e la distruzione, offrendo un’istantanea cruda della realtà sul campo. Questi contenuti hanno contribuito a informare e mobilitare gli utenti, molti dei quali hanno utilizzato le loro piattaforme per esprimere solidarietà e promuovere raccolte fondi.

Il futuro della campagna

Sebbene sia ancora presto per determinare l’impatto a lungo termine di “Blockout 2024”, la campagna ha già dimostrato la sua capacità di attirare l’attenzione e stimolare la discussione. Il movimento potrebbe ispirare ulteriori forme di attivismo digitale, mentre le celebrità e gli influencer potrebbero dover affrontare una maggiore responsabilità nelle loro azioni e dichiarazioni pubbliche. In un’epoca in cui i social media giocano un ruolo cruciale nel plasmare le narrative globali, iniziative come “Blockout 2024” mostrano il potere collettivo degli utenti di fare la differenza.

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Twitter diventa ufficialmente X.com, ma con alcune incongruenze

Tempo di lettura: < 1 minuto. Elon Musk ha completato il rebranding di Twitter in X, cambiando l’URL in x.com, ma con alcune incongruenze nel reindirizzamento.

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X logo
Tempo di lettura: < 1 minuto.

Elon Musk ha completato il rebranding di Twitter in X, cambiando anche l’URL ufficiale da twitter.com a x.com. Gli utenti che accedono al sito web ora vedono gli indirizzi twitter.com reindirizzati a x.com, anche se i reindirizzamenti sono attualmente incoerenti a seconda del browser utilizzato e se l’utente è loggato o meno.

Annuncio e implementazione

Musk ha annunciato la migrazione su X, affermando che tutti i sistemi principali sono ora su x.com. Tuttavia il reindirizzamento non funziona ancora perfettamente in tutti i casi.

Rebranding e storia

Non è la prima volta che Musk tenta di cambiare il nome di un marchio noto in X. Già nel 1999, Musk lanciò una compagnia chiamata X con il dominio x.com, che poi si fuse con Confinity di Peter Thiel per diventare PayPal. Musk tentò di rinominare PayPal in X, ma il suo tentativo fallì e fu estromesso dalla compagnia.

Reazioni degli utenti

Gli utenti social non sembrano impressionati dal cambiamento, con molti che dichiarano di continuare a chiamare il sito Twitter e fare battute sul fatto che x.com suona come un sito NSFW.

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