Antitrust e Garante Privacy uniscono le forze contro Meta. Oppure le placano?

di Livio Varriale
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Nei giorni scorsi, una notizia rilevante ha scosso il dibattito sulla tutela della privacy e sulle dinamiche di mercato nel settore digitale. L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria nei confronti di Meta Platforms per pratiche considerate unilaterali e potenzialmente lesive delle norme a tutela dei consumatori e della concorrenza. L’indagine riguarda l’uso dell’intelligenza artificiale Meta AI all’interno di WhatsApp, con possibili implicazioni sulla gestione dei dati personali, comprese le comunicazioni coperte da crittografia end-to-end. Parallelamente, il Garante per la protezione dei dati personali è coinvolto in un’azione coordinata con l’Antitrust, nell’ambito di un protocollo di intesa siglato di recente tra le due autorità.

L’iniziativa giudiziaria e il contesto regolatorio

L’apertura dell’istruttoria arriva in un momento in cui Meta è già al centro di critiche per la gestione opaca dei dati, per il pay or consent, e per il lancio di funzionalità AI persistenti all’interno di WhatsApp. Queste tecnologie, secondo l’azienda, non accedono ai contenuti privati degli utenti, ma le modalità di integrazione sollevano dubbi tra giuristi e attivisti della privacy, soprattutto in relazione a conversazioni sensibili, come quelle delle chat scolastiche o dei gruppi di genitori. Il tema è particolarmente delicato poiché, negli ultimi anni, il Garante Privacy non ha intrapreso azioni incisive in alcuni casi di violazioni massicce, come il data breach che coinvolse i profili Facebook di mezza italia, con la diffusione di numeri di telefono e altre informazioni personali poi usate per truffe mirate via WhatsApp.

L’atteggiamento delle due autorità verso Meta

Storicamente, l’AGCM si è mostrata più determinata nell’imporre correttivi a Meta. Un caso emblematico riguarda le trattative tra il colosso tecnologico e gli operatori del settore musicale: quando Facebook propose condizioni contrattuali penalizzanti per mantenere la musica italiana sulla piattaforma, l’Antitrust impose una rinegoziazione temporanea per riequilibrare i rapporti. Meta, in quell’occasione, aveva tentato di spingere artisti e produttori verso accordi con realtà concorrenti alla SIAE, favorendo le proprie strategie commerciali. Il Garante Privacy, invece, è stato percepito come più morbido nei confronti dell’azienda di Mark Zuckerberg, specialmente in episodi dove erano in gioco violazioni gravi della protezione dati.

Operazioni di marketing e influenza culturale

Meta non ha limitato le sue strategie al solo ambito contrattuale. In passato, l’azienda è riuscita a portare il proprio marchio anche in eventi di enorme risonanza mediatica, come il Festival di Sanremo. Durante un’edizione condotta da Chiara Ferragni, legata all’ecosistema Instagram, la presenza del Presidente della Repubblica Italiana in trasmissione fu accompagnata da un episodio di pubblicità indiretta a favore di Meta. Questo evento segnò anche l’inizio del declino dell’immagine pubblica di Ferragni, storica ambasciatrice del brand.

I rischi legati all’uso di Meta AI su WhatsApp

Il nodo centrale dell’attuale istruttoria riguarda il fatto che Meta AI sia stata integrata in WhatsApp senza un consenso esplicito e granulare da parte degli utenti, in un contesto in cui l’app è tra le più utilizzate al mondo. La questione è ancora più critica quando si parla di minori: i dati scambiati in chat di classe o in gruppi familiari, seppur protetti dalla crittografia, potrebbero essere soggetti a trattamenti non pienamente conformi alle normative europee. Il confronto con altri player del settore rende il quadro più evidente: quando Elon Musk annunciò un progetto di AI destinata ai bambini, il clamore fu immediato, mentre su Meta — già in possesso di dati di minori — il dibattito rimase in gran parte sottotraccia.

Prospettive e possibili sviluppi

Resta da capire se la collaborazione tra Antitrust e Garante Privacy porterà a un inasprimento delle azioni contro Meta o se, al contrario, fungerà da elemento di distensione nei rapporti istituzionali con il colosso statunitense. In passato, in Italia, le alleanze tra enti con poteri differenti hanno prodotto risultati variabili: in certi casi, la parte più debole ha beneficiato dell’esperienza dell’altra; in altri, ha finito per adattarsi a un approccio più morbido. Se l’attuale sinergia saprà mantenere una linea ferma, potrebbe segnare un punto di svolta nel modo in cui l’Italia affronta le pratiche aggressive delle big tech, specialmente su protezione dei dati, tutela dei minori e equilibrio concorrenziale nei servizi digitali.


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