Censura, l’Italia è complice

da Livio Varriale
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Elon Musk ha avuto le porte chiuse in Brasile, dove il Presidente della Corte Suprema brasiliana ha disposto la chiusura di X perché il leader dei finanziatori Repubblicani statunitensi, in questo momento, ha rifiutato di nominare un amministratore delegato all’interno della nazione sotto la giurisdizione di Lula. Dal punto di vista degli obblighi verso cui Musk dovrebbe rispondere, è chiaro che il leader di X si trovi in difetto. Un po’ più strano e anomalo è il fatto che, per colpire X, si sia disposto anche il congelamento dei conti correnti di società che viaggiano su binari differenti come Starlink.

Elon Musk non balla più la samba

La strategia di Elon Musk è quella, come già ha fatto nel caso di Pavel Durov e Telegram, che tutto è buono per orientare il dibattito sul free speech. Infatti, Musk si è definito un censurato dalla piattaforma e, di conseguenza, tutti gli utenti di X che quotidianamente gli accordano grande fiducia. X in Brasile è una piattaforma utilizzata da tantissime persone che, ad oggi, sono in preda alla disperazione ed hanno iniziato la fuga verso nuove piattaforme social tra cui Bluesky, Mastodon e Threads di Meta.

Il governo sanzionerà con 8 mila dollari chi utilizzerà la piattaforma attraverso una VPN e Musk ha subito lanciato un messaggio pubblico invitando a partecipare ad un sondaggio dove chiede se i “censurati brasiliani” possano disporre di StarLink in omaggio per continuare ad utilizzare la piattaforma. L’Autorità brasiliana intanto ha fatto partire una richiesta nei confronti di Apple per rimuovere l’applicazione dall’App Store rendendo impossibile il download dell’applicazione. Quello che è successo a Musk sembra nulla rispetto ai risvolti dell’ultima settimana che hanno interessato il patron di Telegram. Parliamo di Pavel Durov che è stato prima arrestato e poi rilasciato con dei capi d’accusa pesantissimi che riguardano la sua presunta responsabilità oggettiva nella pubblicazione di contenuti illegittimi.

Pavel Durov: tra terrorismo e violenza privata

Durov è stato rilasciato su una cauzione di 5 milioni di euro e può uscire dalla sua dimora di Parigi solo due giorni a settimana e gli è stato ritirato il passaporto. La situazione poi si è complicata ancora di più anche perché ci troviamo di fronte ad accuse penali gravissime smentite dallo stesso Digital Service Act che non prevede la responsabilità oggettiva dei titolari delle piattaforme su eventuali contenuti. A rovinare la situazione di Durov però, c’è un’altra accusa: quella di presunte violenze al figlio avanzata dalla moglie.

Pavel Durov: è stato arrestato dai francesi o si è costituito contro i russi?

Da non sottovalutare un’analogia simile con Elon Musk che è accusato dal figlio, interessato dalla transizione di genere, di violenze per aver intrapreso questa scelta. Elon Musk pubblicamente ha rigettato più volte il riconoscimento del figlio, il quale va contro le sue ideologie politiche attuali. In questo caso si potrebbe trovare un’analogia anche con i casi di Assange che hanno provato ad accusare di stupro confermando un impianto di accusa più volte utilizzato che comprende una problematica privata associata ad una questione prettamente criminosa per il proprio ruolo all’interno di un’attività.

La letterina di Mark che svela la censura

In questi giorni, c’è stata una lettera da parte di Mark Zuckerberg che ha smentito molte delle teorie scientifiche che sono riuscite a spuntarla rispetto ad altre durante il Covid con l’aiuto del sistema dei Fact-Checkers, dove ha ammesso di aver ceduto a pressioni governative per censurare e veicolare l’informazione. La notizia è stata fatta circolare dalla stampa nazionale con una naturalezza nonostante abbia smentito molte delle notizie diffuse in precedenza dalla stessa, non curandosi se queste fossero vere o false e soprattutto in odore di regime.

Italia, Meta usa metodi cinesi e censura i giornalisti, diffamandoli

Oltre alle notizie sulla pandemia trattate da Zuckerberg, figura anche quella di Hunter Biden, figlio di Joe, che tutti sanno essere tossicodipendente. Nonostante ci si può sospettare che le notizie circolate sul conto del figliol prodigo in affari con il padre presidente USA siano state fomentate con interesse dai russi, è possibile affermare con certezza che le informazioni non appartenevano alla categoria delle notizie false, perché facilmente riscontrabili ed il tempo ha confermato a suon di sentenze emesse.

L’Europa tace, l’Italia acconsente

In questo contesto, l’Europa si è mossa con molta riservatezza. Non ci sono state grandi dichiarazioni in merito sulla lettera di censura, soprattutto perché le direttive applicate da Meta su impulso delle agenzie di Governo, sono le stesse che negli anni sono state applicate dall’Unione Europea, in alcuni casi in modo più energico paesi dove è entrato in vigore il Green Pass. Di conseguenza, i quotidiani oggi non hanno convenienza nel trattare la notizia di Zuckerberg, perché smentirebbe loro stessi ed anche perchè hanno ricevuto finanziamenti a pioggia per la crisi Covid.

Dal punto di vista della cronaca, si è gridato, o meglio, si è provato a gridare allo scandalo, ma la situazione è chiara alla cittadinanza che, composta dai lettori di questi ultimi 4 anni, ha ripudiato il giornalismo e le testate principali proprio per essere state dalla parte della censura: la stessa che Zuckerberg ha applicato per conto del governo degli Stati Uniti.

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L’Italia dal doppio volto

C’è però chi in realtà avrebbe l’intenzione di fare luce sul tema, ed è Ginevra Cerrina Feroni del Garante della Privacy. La componente del collegio dei difensori della privacy italiana rappresenta l’unica figura di Governo ad aver sollecitato delle azioni mirate a capire quali tipo di informazioni siano state censurate in epoca Covid. Anche perché, ricordiamolo al lettore, la Corte Costituzionale del Bel Paese ha più volte emesso dei pareri vincolanti che hanno certificato la bontà delle azioni politiche del governo sulla base di dati scientifici che sono stati dismessi o smentiti, perché imprecisi o destituiti di fondamento scientifico, ma sono stati utili per motivare le azioni politiche intraprese dal governo Draghi ritenute da molti draconiane e surrettizie.

Ginevra Cerrina Feroni, però, in questo momento si trova a fare i conti con un nemico più grande: all’interno del Garante sono presenti componenti che sono collegati al governo Meloni, come Agostino Ghiglia, che ha affidato a Paolo Benanti la gestione del futuro del giornalismo e delle regole dell’informazione nell’epoca dell’intelligenza artificiale. Paolo Benanti più volte ha mostrato di essere propenso alla censura preventiva delle informazioni, riservando particolare attenzione alla piattaforma di X, ed infatti ha definito Elon Musk “un imprenditore senza scrupoli” mentre su Zuckerberg non si è espresso, essendo lo stesso patron di Meta in linea con i dispositivi che Benanti vuole applicare al mondo del giornalismo italiano di censura preventiva delle informazioni in Europa invocata dall’attuale presidente della Commissione.

Per quanto riguarda invece gli altri due componenti del Garante, Presidente Stanzione ed il componente Guido Scorza, quest’ultimo convinto che sui social non si possa pubblicare tutto, hanno latitato più di tutti quando si è trattato di punire severamente Meta in occasione dei vari databreach che hanno creato grandi problemi nei confronti della popolazione italiana. Attraverso il leak dei numeri telefonici di tutto il mondo, infatti, molti cittadini si sono trovati invasi di messaggi WhatsApp contenenti link malevoli o proposte truffaldine. Quindi, il nemico di Ginevra Cristina Cerroni nella sua attività di fare chiarezza su Meta, risiede dapprima nelle stanze del potere di cui lei stessa è parte.

Perchè gli altri Garanti non intervengono?

In attesa nel vedere quali potranno essere i risvolti di questa vicenda, Altri Enti che in questo momento latitano sono il Garante delle Comunicazioni, ma anche quello del Mercato. È chiaro che la censura applicata in maniera preventiva sulla piattaforma social ha reso di fatto il mercato editoriale viziato e drogato dalla censura, non basato su un principio di meritocrazia della qualità delle fonti, bensì su una scelta privata dettata da motivi infondati.

In un paese sovrano, come Francia e Brasile hanno dimostrato a ragione e a torto, dovrebbe far scattare una nota congiunta tra il Garante del Mercato, della Privacy, ma anche delle Comunicazioni, che ormai imperversano per quanto concerne la questione dei social network.

La favoletta che l’Italia è un paese libero, dove esiste la libertà di espressione e di stampa e la trasparenza scientifica non regge più e l’assenza di azioni istituzionali contro Meta al momento ne è una conferma.

Analizzando la situazione attuale, la Commissione Editoria sull’AI voluta da Baracchini, quest’ultimo in quota Forza Italia ed in pieno conflitto di interessi con la famiglia Berlusconi, e presieduta da Benanti dovrà compiere l’atto finale: applicare questi criteri di censura preventiva e favorire una parte del mercato editoriale istituendo anche quello che sarà il primo reddito universale nei confronti dei lavoratori del settore dell’informazione, così come annunciato in anticipo dallo stesso Benanti sotto forma di fee alle imprese editoriali.

Censura per la sicurezza nazionale o per affari privati?

In poche parole, l’Italia è schierata dalla parte della censura; gli unici che si oppongono, guarda caso, sono quelli della Lega, Cerroni è dei loro, partito che non ha votato il Digital Services Act, che, paradossalmente tra luci e ombre, ha aperto anche degli spiragli positivi nei confronti dei cittadini nella loro dura battaglia verso le piattaforme BigTech, ma è stato immaginato dai legislatori, Gentiloni compreso, come una sorta di Ministero della Verità.

È chiaro che se esiste un’esigenza di sicurezza nazionale, sappiamo tutti che qualsiasi cosa prevarrà anche sui diritti basilari come la libertà di stampa e di espressione. Il problema oggi è tracciare il significato di “sicurezza nazionale”. In questi ultimi anni, più che alla sicurezza per il bene del Paese, abbiamo assistito ad una sicurezza utile agli interessi privati di settori come quello della medicina e della farmaceutica e, allo stesso tempo, delle armi. La libertà di stampa e di informazione, nella maggior parte dei casi, si è piegata, si è prestata a determinate narrazioni che in realtà non badavano al benessere dei cittadini, bensì al benessere delle corporazioni economico-finanziarie. Strano che tutto questo passi sotto traccia negli ambienti che contano, soprattutto quando sono unti dal Signore.

Si può anche come

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